Licorice Pizza non è ancora uscito, e qualcuno rompe già

Mattia Giusto Zanon

Secondo alcuni critici la pellicola strizzerebbe l’occhio alla paranoia anti-asiatica, eppure gli spettatori sono forse un po’ più intelligenti di così

Platone era scettico. Circa 25 secoli fa, nella Repubblica, bandì poeti e drammaturghi dalla sua città ideale, sostenendo che il loro lavoro "è in grado di distorcere il pensiero di chiunque lo ascolti". Temeva che dopo aver assistito alle estremità del comportamento umano rappresentate dai narratori, potessimo imitare quel comportamento nella vita reale, provocando disordine, divisione, violenza e caos. Era scettico sulla nostra capacità di distinguere tra ciò che è reale e ciò che è immaginato, e allo stesso modo sulla nostra abilità di trarre intuizioni positive e produttive per la vita e l’azione da ciò che guardiamo.

 

Platone non c’è più, ma ora ci sono i “crociati-woke” della cultura contemporanea, che a colpi di hashtag, sbraitano ogni qualvolta non vedono una chiara messa alla gogna di comportamenti e atteggiamenti precisi (anche se parliamo di un film ambientato nel bel mezzo degli anni Settanta nella rude San Fernando Valley, e quindi forse non considerano nemmeno per un attimo il contesto di riferimento). Eppure forse gli spettatori sono in grado di afferrare da soli certe sfumature, senza dover essere costantemente imboccati da qualcuno come bebè.

  

  

Per ora il film è uscito solo nelle sale statunitensi (in Italia la data è stata rimandata più volte dai distributori, avrebbe dovuto essere nei prossimi giorni, ma non se ne parlerà prima di marzo), in molti lì l’hanno visto, e alcuni spettatori hanno iniziato a mormorare. Secondo loro certe scene conterrebbero dei dialoghi di personaggi dai tratti orientali "che si esprimono in un inglese asiatico dall’accento grossolano", il che ha portato sui social i critici da salotto e almeno un’organizzazione culturale asiatico-americana a sostenere che il pubblico e le giurie dei premi cinematografici dovrebbero assolutamente boicottarlo.

  

Il casus belli sono le scene in cui il ristoratore interpretato da John Michael Higgins, parla alla moglie giapponese sforzando un accento marcatamente nipponico. Eppure forse bisognerebbe fare caso al senso della scena. Mentre Jerry Frick – il personaggio che interpreta – si rivolge alla consorte Mioko (Yumi Mizui), parlando dei piani di marketing per il nuovo ristorante, la telecamera è concentrata sul viso di lei, costretta a sorbirsi tutta una sfilza di cliché sulle donne giapponesi, robe tra cui la bellezza misteriosa e intrigante, l’ospitalità leggendaria, i piedi piccoli, e altre amenità simili. Il viso di Mioko è composto, seppur di pietra. Non è impressionata da ciò che sta ascoltando. Probabilmente sarà la millesima volta che la sente, quella solfa. Il pubblico ride, ma se ride ride di lui, e di quel suo concitato e caricaturale sforzo linguistico, non di lei.

  

Il Media Action Network for Asian Americans (MANAA) ha dichiarato che se Licorice Pizza ricevesse nomination e premi "normalizzerebbe la presa in giro più eclatante degli asiatici in questo paese negli ultimi vent’anni". A nulla è servito il chiarimento del regista di aver inserito alcune scene proprio per rendere il contesto di quei tempi, aggiunto alla convinzione che è pressoché inutile voler guardare ogni film che si fa con gli occhi del 2022. Descrivere un periodo, affrescarlo, non vuol dire per forza normalizzarlo. Niente da fare, la macchina del fango era già in funzione.

  

   

Il film, ambientato in una tragicomica Hollywood degli anni Settanta, è interpretato da Cooper Hoffman – figlio dell’ex “musa” ispiratrice di Anderson, il compianto Philip Seymour Hoffman. Il ragazzo veste i panni di un liceale pacato di nome Gary, impegnato a flirtare spudoratamente con Alana (Alana Haim), una ragazza ben più grande di lui, che aiuta a scattare foto di classe. Lei respinge le sue avances, ma c’è qualcosa in questo imbroglione innocente che in fondo la intriga, così diventano amici, soci in affari e anche qualcosa di più.

 

Licorice pizza è una gran pellicola, una commedia antica, ma anche un ricordo agrodolce di quanto possa essere difficile abbracciare l'età adulta. E con buona pace di Platone e della brava gente delle associazioni tal dei tali, la speranza è che questo film venga invece diffuso in lungo e in largo, piacendo o non piacendo, e che sia un simbolo di come una vita culturale condivisa e fiorente è quella in cui le storie che ci vengono raccontate e le storie che raccontiamo su noi stessi sono libere e a volte si assumono anche dei rischi, non sono banali esperimenti fatti col misurino per soddisfare tutti i palati. Non piacerà a tutti, ma forse a volte invece che abbandonarci nell’ennesimo elogio della piattezza, dell’unanimità, dovremmo gioire di fronte a film che sono ancora divisivi, che fanno dibattito, anziché condannarli e costruirci su inutili gogne mediatiche col sigillo del poll. corr., a volte ancora prima di vederli.

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