"Spiderm-Man: No Way Home" di Jon Watts 

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"Che noia i supereroi", e poi salvano gli incassi di questo anno disastroso

Mariarosa Mancuso

Il Wall Street Journal, commentando il modesto botteghino di "West Side Story" versione Steven Spielberg, lamentava la morte del cinema da vedersi al cinema. Intanto "Spider-Man: No Way Home" arriva terzo nella classifica dei migliori debutti di sempre

Hai voglia a dire “che noia i supereroi”. Ma poi son loro che riempiono i cinema, e salvano non solo la stagione ma l’anno cinematografico azzoppato dalla pandemia. Un po’ di respiro che dovrebbe proseguire per tutte le feste (parlando dell’Italia, pare scongiurata l’idea del tampone prima del film: solo il pensiero vuol dire che i custodi della salute pubblica al cinema non vanno, forse non sono mai andati). 

Costato 200 milioni di dollari, “Spider-Man: No Way Home” di Jon Watts ha incassato finora nel mondo oltre 751 milioni di dollari – 328 negli Usa, terzo nella classifica dei migliori debutti (davanti a lui due titoli della saga “Avengers”). 12 milioni e 600 mila euro in Italia, sempre secondo. Pochi giorni dopo che il Wall Street Journal, commentando i modesti incassi di “West Side Story” versione Steven Spielberg – 10 milioni di dollari allora, 19 adesso, più un’altra decina fuori dagli Stati Uniti –, lamentava la morte del cinema da vedersi al cinema. 

Triste sorte per un musical storico, patrimonio della cultura popolare americana da oltre mezzo secolo, rinfrescato dalla brillante e attuale – perfino troppo – sceneggiatura firmata Tony Kushner. Battuto da un ragazzino con la calzamaglia rossa e nera che salta da un tetto all’altro, e combina pasticci. Si ritrova così nel multiverso – roba che per anni abbiamo chiamato universi paralleli, o alternativi: c’erano già in “Ritorno al futuro”.

E’ seccante rivelare le trame, non lo faremo. Ma “No Way Home” ha il difetto di cui molte saghe soffrono: mette in scena con la massima solennità svolte narrative che finora i registi usavano e basta. Senza farla tanto lunga “filosoficamente”, con i cattivi sempre più tormentati, e i buoni sempre in preda a qualche dilemma. Anche praticamente, costringendo a sorbirsi i titoli di coda perché in fondo stanno le scene extra (se non avete mai visto per intero la lista delle persone che servono per un film con gli effetti speciali non potete sapere).

Per sparigliare le carte e confondere i tentativi di analisi, l’ultimo film di Aaron Sorkin (“The Social Network”, “Il processo ai Chicago 7”) è da ieri su Amazon Prime. Con i suoi bei sottotitoli in italiano, racconta una settimana nella lavorazione della sit-com “I Love Lucy” – roba da 60 milioni di spettatori e una copertina di Time. Protagonisti (e produttori esigenti) Lucille Ball e il marito cubano Desi Arnaz, ribattezzati in scena Ricardo: “Being the Ricardos” è il titolo del film. Era tornata fuori un’accusa di comunismo contro Lucille Ball, che era pure incinta (l’attrice è Nicole Kidman). Veleno per la tv anni 50 e per gli sponsor del programma. Aaron Sorkin è affascinato dai ritmi e dai modi di produzione della sitcom, un episodio di mezz’ora a settimana, e lì concentra la sua attenzione.