Stan Lee

Stan Lee, come Spider-Man

Mariarosa Mancuso

Così il fumettista ci ha fatto innamorare soprattutto di difetti e manchevolezze dei supereroi

Gli scrittori erano ancora sotto choc, e rimuginavano sul tema “si può ancora scrivere dopo l’11 settembre?”. I filosofi deliravano, come ogni tanto capita – e si chiedevano se era quello lo spettacolo che avrebbe messo fine alla società dello spettacolo. Spider-Man era dove doveva essere, tra le macerie di Ground Zero. Guardava il disastro e si disperava: neanche i superpoteri tengono lontano il dolore.

 

L’albo speciale dedicato all’11 settembre non era firmato da Stan Lee (i fumetti sono un’industria, funzionano come il cinema negli anni d’oro di Hollywood). Ma era stato Stan Lee nel 1962 a immaginare l’Uomo Ragno, lavorando con il disegnatore Steve Ditko. Fu lui a inventare il supereroe che quando si toglie la tuta rossoblù con le ragnatele disegnate, e quando non salta da un grattacielo all’altro lanciando fili resistentissimi, è un adolescente sfigato, cresciuto dagli zii dopo che i genitori sono morti in un incidente stradale.

 

Nel bellissimo film di Sam Raimi uscito nel 2002 – dovettero cancellare in post produzione le Torri Gemelle – ci sono l’eroe e il ragazzino, magnificamente esaltati. Spider-Man chiarisce al mondo che “da un grande potere derivano grandi responsabilità”. E Peter Parker dopo il morso del ragno (da lì vengono i superpoteri) si ritrova le mani appiccicose senza sapere ancora il perché. “Capita, ai ragazzi della tua età”, è la saggia risposta dello zio.

 

Stan Lee non era solo Spider-Man. Era anche Iron Man, gli X Men, Hulk, Dr. Strange. Li nominiamo, e grazie all’ultima generazione di film Marvel (sarebbe meglio dire Disney, che ha comprato la ditta per 4 miliardi di dollari nel 2009, ma siamo affezionati), vengono in mente tutti i loro difetti e manchevolezze. Vogliono salvare il mondo – e verso la fine dei rispettivi film di solito riescono nell’impresa, a dir la verità lasciando più macerie dell’11 settembre – ma nel privato hanno un sacco di paturnie. Tutti adulti, ma se non son deboli di carattere sono New Age.

 

Era nato Stanley Martin Lieber, nel 1922: i genitori erano ebrei emigrati dalla Romania (il nome vero voleva preservarlo per fatiche letterarie più serie dei fumetti, erano tempi così). Assieme ad altri scrittori e disegnatori – tra cui Jack Kirby nato Kurtzberg, altro pilastro della Marvel – appare in “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay”, il romanzo di Michael Chabon che celebra l’età d’oro del fumetto americano, a cavallo della Seconda guerra mondiale. Kavalier è cecoslovacco, Clay viene da Brooklyn, insieme danno vita a un personaggio chiamato L’Escapista: si nasconde in una cassa da morto per sfuggire ai nazisti. Per contorno, il Golem, Houdini, i racconti di Isaac Singer, il mondo ebraico dopo la tragedia europea, la fuga verso una terra meno ostile.

 

Il nome vero di Stan Lee non sarebbe servito più a nulla. Spider-Man si è imposto, su e giù dai grattacieli ma impacciato con la biondina dei suoi sogni (lei snobba Peter Parker, preferisce l’altro con la tuta). Bel colpo per uno che aveva cominciato ragazzino, riempiendo le boccette d’inchiostro.

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