Perché Stan Lee era il Sinatra dei fumetti

Stefano Priarone

“La capacità di Stan di far uscire il meglio dai suoi collaboratori e il fatto che dipendesse da un buon partner per riuscire a dare a sua volta il meglio, lo rende simile anche ai più grandi produttori di dischi" dice il critico americano Adam McGovern

“Per certi versi, è stato il Frank Sinatra del fumetto.” Davvero azzeccata la definizione che di Stan Lee, il creatore dell’Universo Marvel di Hulk, Avengers, Fantastici Quattro, dà al Foglio il critico americano Adam McGovern. “My Way” viene scritta per Sinatra da Paul Anka basandosi sulle note della canzone francese Comme d'habitude” di Claude François, ma è a tutti gli effetti una canzone di Sinatra, il suo autoritratto in musica. Lo stesso si può dire per lo scrittore di fumetti ed editor  Stan Lee, nato a New York come Stanley Francis Lieber il 28 dicembre 1922 e morto ieri a Los Angeles. “La capacità di Stan di far uscire il meglio dai suoi collaboratori e il fatto che dipendesse da un buon partner per riuscire a dare a sua volta il meglio, lo rende simile anche ai più grandi produttori di dischi, anche se più di ogni altro autore ci ha messo la faccia nel mondo del fumetto” prosegue McGovern.

 

Lee ha fatto prendere forma a personaggi come Spider-Man, gli X-Men, i Fantastici Quattro, Thor, gli Avengers. Certo lo ha fatto grazie a collaboratori di eccezionale talento come i disegnatori di Jack Kirby e Steve Ditko, ma se dobbiamo cercare un creatore dell'Universo Marvel, questo è senza dubbio Stan Lee.

 

 

Ma andiamo con ordine.

 

Di origini ebraiche, da adolescente entra nella casa editrice che sarebbe diventata la Marvel Comics (l’editore Martin Goodman è un suo parente acquisito). All'epoca aveva la speranza di diventare romanziere, per questo motivo utilizza uno pseudonimo. Stanley Martin Lieber lo avrebbe usato per i libri. Romanziere non riuscì a esserlo, diventò un creatore di mondi.

 

La svolta è nel 1961: la casa editrice è prossima al fallimento, Lee, all’epoca capo redattore, e Jack Kirby, un disegnatore bravissimo ma che da anni passa da insuccesso a insuccesso, decidono di puntare tutto su una nuova serie a fumetti, i Fantastici Quattro, ossia avventurieri che durante un viaggio spaziale ricevono dei superpoteri grazie ai raggi cosmici. I personaggi ricordano un po' gli Esploratori dell’Ignoto, creati pochi anni prima da Kirby da solo per la rivale DC Comics (quella di Batman e Superman). Ma gli Esploratori erano quattro uomini, e tutti dal carattere intercambiabile, qui abbiamo due uomini maturi (Reed Richards e Ben Grimm), una ragazza (Susan Storm, fidanzata di Richards), e il fratello di lei, il focoso Johnny, che litiga spesso con Grimm, diventato nel frattempo un mostro di pietra.

 

Sono persone umanissime con superpoteri, o meglio, come sintetizzerà efficacemente lo stesso Lee, “supereroi con superproblemi”. Seguono il teenager secchione Peter Parker morso da un ragno radioattivo che diventa Spider-Man (Lee con Ditko), lo scienziato Bruce Banner che si trasforma nel mostro Hulk (ancora con Kirby), l’avvocato cieco che fa il giustiziere di notte (con Bill Everett), e così via. È nato l’universo Marvel dei fumetti (tutti i personaggi si conoscono e interagiscono fra di loro), una delle più grandi creazioni fantastiche mai realizzate.

 

Il tratto comune tra tutti i personaggi di Lee è che nessuno di loro è felice di essere un supereroe: Peter Parker lo fa per espiare il senso di colpa per non aver fermato il ladro che avrebbe ucciso l’amato zio Ben, gli X-Men sono mutanti, hanno superpoteri dalla nascita e vivono in un mondo che li teme e li odia.

 

I lettori si identificano in questi eroi, problematici come loro, i loro albi vendono sempre di più, il possibile fallimento è scongiurato. E Lee rafforza il legame con loro nei credits: lui diventa “The Man” o “Smilin’ Stan”, Kirby “The King”, Ditko “Sturdy Steve”, il suo braccio destro Roy Thomas (a sua volta eccellente scrittore, è sempre stato molto bravo a scegliersi i collaboratori) è “The Boy”. E negli editoriali Lee descrive il “bullpen”, la redazione Marvel, come una sorta di gruppo di supereroi. 

  

Lee non è uno sceneggiatore classico: non descrive vignetta per vignetta in una sceneggiatura che poi consegna al disegnatore, si limita a fornire una breve trama (a volte solo orale) e ad aggiungere i dialoghi sulla base dei disegni realizzati. Disegnatori come Kirby e Ditko, anche autori completi, ci mettono molto, a volte moltissimo, del loro.

 

Ma i dialoghi e la supervisione finale di The Man rendono il tutto marvelliano. Ci sono ironia, caratterizzazione dei personaggi, pathos. Kirby, lasciata la Marvel nel 1970 per contrasti con Lee, creerà tante serie da solo: idee grandiose, sense of wonder, ma mancano l’ironia, la leggerezza, i dialoghi scoppiettanti di Lee.

 

Il personaggio di Silver Surfer rispecchia la capacità di The Man nel fare suoi personaggi creati a volte da altri e di sentire lo spirito del tempo, lo zeitgeist. Silver Surfer è l’alieno Norrin Radd del pianeta Zenn-La che sfreccia nel cosmo su una sorta di tavola da surf. Lo stesso Lee racconta che Silver Surfer era stato aggiunto da Kirby, non c’era nel soggetto originale,  è l’araldo del potente essere alieno Galactus che annuncia il suo arrivo nei vari pianeti. Una sorta di angelo biblico che si ribella al dio Galactus, aiuta i Fantastici Quattro a sconfiggerlo e viene da questi punito: non può più lasciare la terra, lui che solcava gli spazi siderali. Se Silver Surfer non è stato tecnicamente creato da Lee, è però lo scrittore e capo redattore a farlo suo, nella serie a lui dedicata, nel 1968, disegnata da John Buscema, “il Michelangelo dei comics” lo definisce, ma, a differenza di Kirby, disegnatore puro, cosa che garantisce a Lee un controllo maggiore sulla storia. Silver Surfer è a tutti gli effetti un alieno hippie, che predica peace & love con frasi del tipo: “È come se la razza umana fosse stata favorita divinamente sopra le altre! Tuttavia essa nella sua incontrollabile follia… nella sua imperdonabile cecità… cerca di distruggere questo gioiello… questa gemma… questa sfera benedetta che chiamano terra!”.

  

Un quasi cinquantenne sapeva parlare ai ventenni di allora: il malinconico alieno pacifista fa breccia in molti ragazzi del college, che si manifestano contro la guerra del Vietnam e si identificano in lui.

 

Nei primi anni Settanta Lee lascia il suo incarico di capo redattore e diventa prima presidente e poi uomo immagine della Marvel. E nel terzo millennio, grazie ai suoi simpatici cameo nei film Marvel, si trasforma in una vera icona pop. E ancora di più di quel Hugh Hefner, fondatore di “Playboy” da lui ammirato, è lo scrittore ed editor di fumetti più famoso al mondo.

 

E, come Sinatra può dire di aver fatto tutto “a modo suo”.

 

Così lo ha ricordato lo sceneggiatore di fumetti Federico Memola su Facebook: “Te ne vai alla veneranda età di 95 anni, all'apice della popolarità e della fama, con la nomea di leggenda, consegnato alla Storia del Fumetto, ma un pochino anche a quella del cinema, dopo essertela certamente spassata un bel po' (soprattutto nell'ultimo periodo della tua vita, partecipando a ogni possibile film basato sui tuoi personaggi)... Alla fine, più che triste, sono contento per te, Stan”.

 

E noi non possiamo che chiudere con la frase usata da The Man alla fine dei suoi editoriali: “Excelsior, Stan!”

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