Tom Hanks parla con la troupe sul set del film "Angeli e demoni" il 5 giugno 2008 a Roma, in Piazza Del Popolo ( Elisabetta Villa/Getty Images) 

Obbligo vaccinale sui set, solo così l'audiovisivo riparte davvero

Simona Ercolani*

La certificazione verde tutela salute e competitività in uno dei comparti più colpiti. Il governo rompa gli indugi

Al direttore - Come sempre il tuo giornale anticipa i temi ed entra nel vivo di argomenti che riguardano la più stringente attualità: e, certamente, l’obbligo vaccinale in azienda è un tema cruciale e da cui dipende la ripartenza. L’industria audiovisiva italiana, che è stata duramente colpita dall’anno e mezzo di pandemia, è uno di quei comparti per cui è necessario un intervento risolutivo.

 

Le grandi compagnie hi-tech (Facebook, Google) o dell’alimentare (Lidl) hanno già preso provvedimenti posticipando il rientro al lavoro dei dipendenti che non vogliono vaccinarsi. Di più: all’estero le società leader del nostro settore hanno già adottato protocolli ancora più stringenti. 


E’ notizia di questi giorni che nei set statunitensi Netflix renderà obbligatorio il vaccino per i lavoratori della cosiddetta “Zone A”, ovvero tecnici e operatori che lavorano senza mascherina, perché dietro a una telecamera e fianco a fianco con i membri del cast. Disney ha richiesto a tutti i suoi dipendenti di vaccinarsi. Anche i nuovi assunti devono essere completamente vaccinati, così come quelli che lavorano in tutte le sedi dell’azienda di intrattenimento più grande al mondo. Nel nostro paese, invece, siamo ancora in attesa di chiarezza sull’obbligo di green pass e sulle tutele per i datori di lavoro e questo dà loro un ulteriore vantaggio competitivo in un momento di grande difficoltà per il settore. 

 

I primi mesi del 2020 hanno visto un drammatico blocco delle registrazioni e delle riprese, e il conseguente blocco di tutti i set nonché l’incertezza totale – che in parte ancora rimane – sulla possibilità di far arrivare in Italia artisti e maestranze dall’estero.

 

Stand By Me, lo dico con una punta di orgoglio, è stata la prima società di produzione tornata a girare sui set già nell’aprile del 2020 con le riprese di un’edizione speciale della serie per ragazzi “Jams”. E’ stata la prima serie live action in Italia a raccontare la complessa vita dei ragazzi ai tempi della quarantena e dell’emergenza Coronavirus: un racconto in tempo reale che ha richiesto uno sforzo produttivo importante. Stand by Me in coproduzione con Rai Gulp ha di fatto anticipato l’adozione delle misure di prevenzione e sicurezza che sarebbero poi state varate a luglio 2020 nel “Protocollo condiviso per la tutela dei lavori del settore cine-audiovisivo”. 

 

Ai tempi, in assenza di vaccini, le uniche misure possibili erano quelle della creazione della “bolla set” con limitazione della presenza di personale sul set e l’impiego di “camere remotate”, test continui, distribuzione alla troupe di dispositivi di protezione individuale pari a quelle in uso negli ospedali.

 

A un anno di distanza per fortuna la situazione pandemica è migliorata e ci sono gli strumenti per dare un impulso significativo alla crescita del settore audiovisivo, che è un volano di ricchezza per l’Italia. Non soltanto per il valore condiviso che genera sul turismo e in termini di immagine dell’Italia all’estero, ma anche e soprattutto in termini produttivi: parliamo di un comparto che conta 7.527 imprese attive nel 2019, 122.905 persone coinvolte e una forte reattività del settore durante la crisi Covid-19 (dati Apa). Nel 2019 il valore della produzione audiovisiva è stato pari a 1,2 miliardi di euro: ma ogni produzione per noi significa set e persone che si recano sul posto di lavoro.

 

La voglia di ripartenza c’è tutta: certo, la filiera, intesa dal set alla sala cinematografica, è scossa duramente da un’incertezza normativa che devasta gli investitori, ma la creatività non manca agli operatori del settore. Tuttavia delle disposizioni chiare sulla possibilità di richiedere il “passaporto vaccinale” sono fondamentali per il nostro settore, che è atipico.

 

I set di produzione e registrazione sono caratterizzati da maestranze che vengono assunte a progetto in base alle attività che vengono svolte: la tutela della salute di tutti è una priorità per le aziende del settore, tanto che il costo delle misure di prevenzione per evitare il contagio pesano attualmente sul budget di ciascuna produzione per una quota che va dal 5 al 10 per cento, a seconda delle location e delle persone impiegate. Eppure basta un solo caso di Covid-19 non solo per mettere a rischio la salute di tutte le persone presenti sul set, ma anche per causare lo stop delle riprese. 

 

Aggiungo che Sean Penn nelle settimane passate ha annunciato di non voler tornare sul set di “Gaslit”, serie in cui recita assieme a Julia Roberts, finché il cast e la troupe non avranno completato il ciclo di vaccinazione contro il Covid. Che cosa succederebbe in Italia, dove le società di produzione non possono chiedere il green pass ai dipendenti, se una star internazionale del calibro dell’attore statunitense avanzasse una pretesa simile? Set bloccato, lavoratori a casa e lunghe contese legali. 

 

Interruzioni e sospensioni contro cui nessuna compagnia di assicurazione accetta di tutelare le società di produzione e che rappresentano un danno economico enorme. Voglio essere ancora più chiara: fermare il set di una fiction di prima serata per un paio di settimane può incidere fino al 5 per cento sul budget del progetto. Pensate all’impatto che può avere per un’impresa il blocco di due o più produzioni. 

 

Sono questi dati che devono far comprendere ai lavoratori e ai sindacati che vaccinarsi non solo è fondamentale per evitare il rischio mortale del contagio, ma anche per aiutare le aziende italiane a competere per salvaguardare posti di lavoro.

 

Il ministro della Cultura Franceschini al Sole 24 Ore e il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti al Giffoni Film Festival hanno posto l’accento sulle capacità industriali del settore audiovisivo per il rilancio e hanno dichiarato di voler puntare su questo comparto.

 

Eppure l’attuale indecisione sull’obbligo di green pass rende difficile capire come ripartire. Il dibattito che è stato coraggiosamente aperto da diversi imprenditori e politici italiani pone una domanda molto chiara rispetto alla quale il governo dovrebbe assumere una posizione netta: può un singolo provocare il blocco di un intero set per una scelta personale? 

 

Il rifiuto della vaccinazione produce un danno alla comunità gravissimo e, nel caso di un’impresa, ne blocca la produzione e fa ricadere sul datore di lavoro responsabilità onerose. Non possiamo quindi stare a guardare: la ripartenza, come ha sottolineato spesso il presidente Draghi, affonda le proprie radici in una chiara strategia di programmazione che ha al suo centro il tema del lavoro. Pochi soggetti No vax non possono bloccare la faticosa ripartenza del paese. Penso che sia giunto il tempo di rompere gli indugi e rendere obbligatorio il green pass nell’industria dell’audiovisivo.


*Ceo e direttore creativo Stand by me