L'intervista

"Tunisizzare" gli Oscar. Così “The man who sold his skin” è arrivato in finale

Arianna Poletti

Tutti parlano dello “straniero in Europa”, ma lui no. Il film che gli dà voce: parla la regista Kaouther Ben Hania

“L’uomo che ha venduto la sua pelle” di Kaouther Ben Hania è in finale per il titolo di miglior film straniero agli Oscar 2021. La prima pellicola tunisina candidata all’Academy Award come miglior film in lingua straniera non è ambientata in Tunisia, ma in Siria. Kaouther Ben Hania, regista affermata a livello internazionale fin dal suo primo lungometraggio “Le challat de Tunis”, la storia di un uomo che a Tunisi sfregia le natiche delle donne con un rasoio, racconta al Foglio che ha tentato di “tunisizzare” la trama: i suoi film precedenti riflettono sulle questioni sociali del suo paese d’origine. Con un casting di attori siriani, in “The man who sold his soul”, la regista affronta temi che risuonano in tutta la la regione mediterranea: frontiere invalicabili, visti inottenibili, corpi mercificati pur di poter raggiungere l’Europa. “All’epoca frequentavo un gruppo di siriani rifugiati a Parigi e questo ha influenzato la mia immaginazione. La storia del protagonista del film è una storia universale”, dice.

 

Il protagonista è Yahya Mahayni, attore siriano che non aveva mai recitato in un lungometraggio prima e che ha già vinto il premio Orizzonti per la migliore interpretazione maschile al festival di Venezia del 2020. Mahayni interpreta Sam Ali, un giovane di Raqqa innamorato della figlia di una famiglia vicina al regime, Abeer. Sam Ali le dichiara il suo amore pubblicamente pronunciando la parola indicibile: faremo la rivoluzione. Così la loro vita salta in aria: mentre Abeer, costretta a sposare un ricco siriano, si trasferisce a Bruxelles, Sam Ali fugge clandestinamente in Libano. Per poter raggiungere Abeer, accetta l’insolita proposta di un artista incontrato in una galleria d’arte di Beirut mentre approfitta del buffet per rimediare una cena. In cambio di un visto e di un biglietto aereo per il Belgio, Sam Ali viene trasformato in un’opera d’arte vivente. L’artista gli incide un tatuaggio sulla schiena, che non è altro che la riproduzione di un visto Schengen. L’intenzione è quella di denunciare al grande pubblico le condizioni del rifugiato siriano, ma quest’ultimo vive in balìa di chi possiede il suo dorso senza mai poter proferir parola. La libertà di movimento tanto cercata gli viene concessa, ma non può esercitarla. Una volta atterrato a Bruxelles, viene esposto nei grandi musei europei come pezzo forte di una collezione d’arte. La curatrice della mostra, un’elegante donna mediorientale che tenta di nascondere le proprie origini tingendosi di biondo, è Monica Bellucci.

 

A ispirare la trama del quarto film di Kaouther Ben Hania è l’opera del surrealista Wim Delvoye. Nel 2006, in Svizzera, l’artista belga cerca qualcuno che accetti di farsi tatuare un quadro sulla schiena per poi essere esposto in un museo. La schiena di Tim Steiner, un quarantenne svizzero che si offre volontario, è stata venduta per 150 mila euro nel 2008: appartiene a un collezionista tedesco che avrà il diritto di recuperare “l’opera” dopo la morte di Steiner. Per affrontare il tema della disumanizzazione, Kaouther Ben Hania ha scelto di trasporre la storia di Steiner e Delvoye,  un contesto più vicino al suo, che unisce la critica alla mercificazione estrema a una riflessione sui rapporti di dominazione tra nord e sud, tra chi valica le frontiere e chi non può farlo. “The Man who sold his skin” denuncia la narrazione passiva dello straniero in Europa, colui di cui tutti parlano, che però non può esprimersi.

 

“Non è la violenza spettacolare che mi interessa, ma quella sottile”, spiega la regista. Come la violenza sessuale non viene mai mostrata nel suo precedente film “La bella e le bestie”, l’epopea di una donna tunisina che cerca giustizia dopo aver subìto uno stupro da parte di un poliziotto, in “The Man who sold his skin” non sono presenti le scene di guerra e distruzione che ci si aspetterebbe di vedere data l’ambientazione siriana. Se la co-produzione tunisina, francese, belga, svedese e tedesca ha permesso al film di ottenere i finanziamenti necessari e una più grande visibilità sul panorama internazionale, per la prima mondiale di aprile 2021 Kaouther Ben Hania ha scelto la Tunisia, dove le sale cinematografiche sono rimaste aperte. “Quest’anno non è stato semplice”, spiega Ben Hania. “Quasi tutti i festival sono stati annullati. Ma il film si è difeso, ha lottato per esistere e l’uscita in sala è il prolungamento di questa battaglia”. Per la regista, la pandemia è riuscita a mettere sullo stesso piano i film prodotti con un budget limitato e le grandi produzioni, dando un’opportunità in più a chi non credeva di averne una, anche agli Oscar 2021.
 

Di più su questi argomenti: