Steven Soderbergh a Venezia 76  

Bentornato Oscar!

Mariarosa Mancuso

Cinema chiusi, niente feste, zero blockbuster, ma non mancano film meritevoli. Domenica la cerimonia, ma senza Zoom. Presenta Soderbergh, che di pandemie se ne intende

Cortocircuiti hollywoodiani. Quando il disastro cominciò, e non si trovavano abbastanza mascherine, “Grey’s Anatomy” e altre serie tv ospedaliere regalarono le scorte in magazzino (con camici sterili e guanti) ai medici veri che stavano affrontando l’emergenza. Quasi un anno dopo, la produzione degli Oscar – la cerimonia sarà domenica prossima – è stata affidata a Steven Soderbergh. Grande regista, certo, ma con una medaglia in più: nel 2011 ha diretto “Contagion” – e sapeva pure dei pipistrelli, “Spillover” di David Quammen è uscito l’anno dopo. Il film sulla pandemia vale come esperienza sul campo, e i candidati hanno ricevuto da Soderbergh una rassicurante missiva: “Sarà una serata sicura, nessuna preoccupazione”. 


Saranno ammessi solo i candidati, i loro consorti, i premiatori (i presentatori o maestri di cerimonie da un po’ sono stati tolti di mezzo per manifesta mosceria). Soderbergh raccomanda di vestirsi eleganti, e garantisce che a nessuno saranno concessi collegamenti Zoom: fu la sciagura dei Golden Globe, a nessuno dovrebbe essere inflitta la visione di Jodie Foster in pigiama con cane e consorte. Lavorate nel cinema, mica in merceria, e nessuno ha finora ha protestato, chiedendo abitini più modesti (è una festa, pure le attrici che in passerella dicono di vestirsi con abiti riciclati – nel senso dell’ecologia e più spesso del vintage – non risparmiano sugli strascichi). Soderbergh ha aggiunto una parola sui ringraziamenti: “Non dite ‘la mia agente’, molto meglio ‘Peggy’, più caldo e personale”.

 

Quel che possiamo solo immaginare – gradiremmo un reportage dettagliato a evento concluso (si spera con ascolti meno disastrosi dell’anno scorso, scesi del 20 per cento rispetto al precedente) – è il dietro le quinte. Ci saranno corridoi per salire e scendere dal palco, senza sfiorarsi neanche per sbaglio? E come funziona il rossetto scarlatto con le mascherine? Quanti tamponi, visiere, disinfezioni saranno richieste a chi trucca e pettina i preziosissimi candidati? Disinfetteranno anche le buste (scortate fino in teatro, precauzione che non evitò il pasticcio in diretta mondiale “La La Land”/“Moonlight”)?

 

Cinema chiusi, niente feste, niente blockbuster a rubare la piazza ai film piccoli ma meritevoli – in gara ci sono praticamente soltanto film piccoli ma meritevoli, “Promising Young Woman” di Emerald Fennell con Carey Mulligan, “Judas and the Black Messiah”, “Father” e “Minari” arrivano tutti dal festival di Sundance – “Minari” di Lee Isaac Chung sarà uno dei film (coraggiosamente) distribuiti nei cinema italiani alla riapertura, lunedì 26 aprile. Per “Nomadland” di Chloé Zhao – un trionfo di sottotono poetico e impegno civile – si parla di Oscar dalla prima proiezione alla Mostra di Venezia. Cura la fotografia, inquadra i paesaggi sempre al tramonto, e i camper di chi passa da un lavoro malpagato a un altro hanno il loro shabby chic. “Esistono film di Hollywood che non mi facciano venir voglia di fare il bagno assieme a un tostapane?”, chiede Bill Maher – battuta moscia, agli Oscar è destino, ma ammirate l’astuzia: non ha offeso nessuna categoria protetta (preferisce prendersela con il governo e i medici che mettono in guardia dal Covid).

 

Variety ritira fuori la questione che angustiava Martin Scorsese: se ci sono supereroi si può ancora parlare di arte? Non dovremmo riservare gli Oscar a film di più alto lignaggio, destinati alle sale? No, evidentemente, se un venerato maestro come lui gira film come “The Irishman”. Budget tanto alti, e incassi così bassi – e mettiamoci l’abuso di effetti speciali che hanno ringiovanito e plasticato gli attori – che solo Netflix può permettersi di finanziare.
 

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