Oggi come ieri, la famiglia riunita davanti alla tv. Cani compresi (da La carica dei 101 , 1961)

rivoluzione Xerox

Sessant'anni di dalmata. Ecco perché La carica dei 101 è ancora moderno

Francesco Gottardi

Il 25 gennaio 1961 usciva nei cinema degli Stati Uniti uno dei classici più innovativi della storia dell’animazione: “E non finirà mai di essere al passo coi tempi”, ci racconta Gagnor, sceneggiatore del nostro Topolino. Tra fotocopiatrici, donne alfa e live action vecchi e nuovi

Fu il congedo del c’era una volta. E infatti Walt, genio romantico, non ne rimase granché convinto: niente magia – salvo quadrupedi parlanti –, né cavalieri o fate malefiche. Per giunta quasi senza canzoni. Si racconta che gli animatori, Ken Anderson in testa, caddero nello sconforto al pollice verso del maestro. Ma diamine. La quête di Peggy e Pongo ha forse qualcosa da invidiare a quella per il Sacro Graal? Esiste strega più banalmente terribile di Crudelia De Mon? E in fondo cos’è la musica, se non macchie nere su fogli bianchi?

      

   

Sessant’anni tondi più tardi, La carica dei 101 – tratto dall’omonimo romanzo di Dodie Smith – rimane uno dei classici Disney più riusciti. Senz’altro l’evergreen numero uno: se l’immaginario delle fiabe è senza tempo, quello del quotidiano è immanente. Insieme ai dalmata i bambini si ritrovano nelle passeggiate al parco, nell’imbroglio dei venditori porta a porta, nella pubblicità – comprate Kanine krunchies: la tv in bianco e nero non farebbe desistere nemmeno i millennial. Londra, oggi. Per la prima volta in un cartone animato. E pensare che tutto iniziò per un grosso problema di budget. Lo spiega per il Foglio Roberto Gagnor, 43 anni, sceneggiatore del settimanale Topolino e indirettamente forgiato anche lui dai ‘famosi Ponghi’: “101 dalmata comportano una quantità di animazione mostruosa”, 6.469.952 macchie in tutto il film. “Ma allo stesso tempo sono un soggetto – bicolore, seriale – che ben si presta alla tecnica sperimentale tentata dallo studio Disney”. La bella addormentata nel bosco, uscito nel 1959, era costato una fortuna e aveva reso poco al botteghino. O si tagliavano le spese, o addio cartoni.

  

  

“Fino ad allora il procedimento era quasi da amanuense: 24 fotogrammi al secondo, inchiostrati uno per uno su cellulosa, per dare via alla sequenza animata. Poi arrivò la xerografia”. Ovvero? “Si parte sempre dai disegni a matita con la stessa frequenza”, sottolinea Gagnor. “Questi però vengono fotocopiati direttamente, tagliando quel laborioso processo di inchiostrazione”. E quindi tempo e denaro. “Il risultato è un segno più sporco, fuligginoso, ma esteticamente piacevole e funzionale. La Xerox ha cambiato il modo di fare animazione: l’approccio alla striscia, al fumetto”.

   

Fotogrammi del film: la xerografia ha permesso di abbattere i costi di produzione (4 milioni di dollari contro i 6 del classico Disney precedente)

   

Alla novità tecnica si aggiunse quella tematica: “La grande antagonista”, esclamano da Topolino. “È ciò che fa la differenza nei lungometraggi Disney. E Crudelia, tra sigarette e Rolls-Royce, è un’eccentrica donna alfa”, più cattiva di Freddy Krueger, Joker e Auric Goldfinger, secondo l’American Film Istitute. “Sedici anni dopo la ‘sondarono’ anche per Bianca & Bernie, ma alla fine scelsero un fac-simile: talmente dirompente da sfiorare il bis”. Non solo: dopo casa De Mon, i 99 cuccioli sono sfuggiti anche all’odierna ‘Inquisizione’ Disney – nel mirino un po’ tutti, dai corvi di Dumbo ai gatti siamesi di Lilli e il vagabondo. Ma la mania pol. corr. come può prendersela con un cartone pioniere dell’animalismo? “Un grande prodotto del cinema richiede sensibilità sociale implicita. E La carica dei 101 è all’avanguardia su tutto: oltre alla questione delle pellicce mi viene in mente l’innamoramento urbano del primo atto, innescato dai cani, un po’ fisico, lontano dai canoni principeschi. Più il tema delle adozioni”, l’accogliere come unica e naturalissima – ‘Come faremo a tenerli tutti? Compreremo una casa più grande!’ – soluzione possibile. È il trionfo del buono, mai forzato o stucchevole, sul buonismo. “Sono contenuti attuali anche oggi, sintomo di un cartone modernissimo. Perché i classici non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire”.

     

Crudelia De Mon: a sinistra nel lungometraggio animato del 1961, a destra interpretata da Glenn Close nei due remake (1996 e 2000) prodotti dalla Disney

   

Quindi lasciamoli stare. Eppure Pongo e famiglia hanno sfondato pure la barriera dei remake in live action. Incoraggiata da incassi facili e world record, la Disney ora ci dà dentro in modo quasi compulsivo: 13 negli ultimi 10 anni. Ma il filone – escluso un film su Mowgli del ’94, per il solo mercato domestico americano – lo inaugurò 101 Dalmatians nel 1996. Fu un successo di pubblico globale, rimasto sui generis per un quarto di secolo. E per quanto il soggetto sia tra i più spontanei da riadattare – di nuovo la contemporaneità: addestrare dei cani per le strade di Londra non è far volare un tappeto magico – e Glenn Close sia una magnifica Crudelia De Mon, quasi archetipo del Diavolo veste Prada, semplicemente non è la stessa cosa. “Un film tutto sommato bruttino”, continua Gagnor. “Soprattutto non paragonabile. I live action sono la forzatura di un racconto già perfetto: non hanno vita propria, ma piacciono proprio perché tentano di prolungare l’onda emotiva dei capolavori originali. Capisco la logica del botteghino, ma amo altre strade. Quando gli sforzi nuovi ci sono stati, vedi Zootropolis, il lavoro finale Disney è ancora di grande qualità”.

      

 

Nonostante l’abbandono dell’animazione tradizionale, per la malinconia delle vecchie generazioni. Ma qui, va detto, c’è un grande equivoco: “Computer-generated imagery non vuol dire mandare in pensione il disegno”, chiarisce lo sceneggiatore. “L’output è diverso, i mezzi pure, ma tecnicamente si richiede l’abilità di sempre. Tutto nasce da una matita e un pezzo di carta: una volta non c’era scelta, mentre oggi il 2D è solo una delle tante tecnologie esistenti. Magari meno impiegata dalla Disney, ma capace ancora di meravigliare. Miyazaki insegna”. E Topolino continua, dal 1949: “Non sono un nostalgico per principio”, sorride Gagnor. “L’idea è usare tutte le risorse a disposizione. Quindi ho iniziato a scrivere anche delle storie apposite per i social: funzionano, creano interazione e poi vanno sul settimanale. Oggi come ieri il calore ci arriva dagli adulti e dai bambini. Il lockdown semmai ha riacceso la voglia di lettura: quello del fumetto, dallo sceneggiatore al disegnatore, è un lavoro antico per un pubblico sempre più moderno. E può parlare di qualsiasi cosa”, date un’occhiata a certe stampe di Hokusai. “Aggiungiamoci la velocità e la vignetta diventa sequenza animata. La magia Disney: il divertimento di base, più un quid sempre diverso per un target infinito. Da vedere e rivedere, senza stufarsi mai”. A fine maggio uscirà l’ennesimo live action: Emma Stone nei panni di Crudelia, in uno spin-off dedicato. “Lo guarderò? Amo l’originale”. La storia non cambierà di una macchia. S’è già detto tutto.

  

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