Popcorn

Giù le mani da Dumbo

Mariarosa Mancuso

Colpito dalla malattia dei remake in "live action", Tim Burton attacca il classico Disney ma non aggiunge nulla

Continua la malattia di rifare in “live action” i film nati grazie alle meraviglie dell’animazione. Primo sintomo – tanti anni fa, era il 1996 – “La carica dei 101” diretto da Stephen Herek. Un colpo al cerchio e uno alla botte già nel titolo: “Questa volta la magia è vera”. Ma Glenn Close-Crudelia De Mon pareva un fumetto, i veri dalmata non erano male nella parte di loro stessi. Meglio della Bestia, nella recente versione di “La bella e la bestia” con Emma Watson. Quanto al candelabro, o a mamma teiera con il figlio Chicco, preferiamo non rinnovare il dolore.

 

“Live action”, poi, è un modo di dire. Nel remake del “Libro della giungla”, l’intero serraglio con l’orso Baloo è stato fabbricato al computer – molti computer, e software sofisticatissimi – in una palazzina di Los Angeles. Per il cucciolo d’uomo Mowgli, il casting ha scelto un ragazzino identico al disegno animato. Lasceranno in pace almeno “La sirenetta”? Era un grido di speranza, fino a qualche anno fa. Ricacciato in gola dai fatti: ci sta lavorando Rob Marshall, regista di “Il ritorno di Mary Poppins”. Si parla di Lady Gaga per il ruolo di Ursula la strega del mare.

 

Una volta la Disney riproponeva a scadenze regolari i suoi classici, come “Lilli e il vagabondo”. Ora li rifà. Verrebbe da dire che le nuove generazioni hanno meno immaginazione delle vecchie, ma abbiamo giurato di evitare i catastrofismi. Servirebbero, dopo aver visto “Dumbo” di Tim Burton. Già si era esercitato su “Alice nel paese delle meraviglie”. Ora affronta l’elefantino dalle grandi orecchie, preso in giro da tutti, che si riscatta imparando a volare.

 

La materia è timburtoniana, disadattato era “Edward mani di forbice”. In “Big Fish - Le storia di una vita infelice” (tratto da romanzo di Daniel Wallace, nessuna parentela con il molto superiore David Foster Wallace) c’erano il circo e i freak. E’ il live action, o presunto tale, che nulla aggiunge e anzi toglie. Nella sequenza più suggestiva vediamo elefanti rosa che danzano nell’aria. Erano il risultato di una sbronza di champagne, nel vecchio film Disney uscito nel 1941 (con budget ridotto al minimo, bisognava ripianare il buco nel bilancio causato dall’insuccesso di “Fantasia”). Qui son fatti con le bolle di sapone, e introducono il numero dell’elefantino volante, quando gli agitano una piuma davanti alla proboscide.

 

Prima degli svolazzi, abbiamo Dumbo pompiere con la mantellina gialle e Dumbo clown (trucco bianco, occhi grandi e malinconici: purtroppo da quando abbiamo visto “It” i pagliacci inquietano sempre un po’). Danny De Vito è il direttore del circo, sfortunato e miserabile ma buono. Michael Keaton è il capitalista che sfrutta Dumbo nel suo gigantesco parco divertimenti. Eva Green fa l’acrobata, e all’occasione cavalca senza troppa convinzione l’elefantino dalle grandi orecchie.

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