Fra i nuovi cardinali un ucraino c'è, ma non è quello previsto. Problemi in arrivo
Il Papa sceglie un eparca quarantaquattrenne di Melbourne, lasciando da parte il padre e capo della Chiesa greco-cattolica, Shevchuk. Non proprio una mano tesa a Kyiv
Dopo dieci concistori, c’è ben poco che possa sorprendere nelle scelte di Francesco. Lo schema seguìto è il solito: uomini fidatissimi e presumibilmente interpreti fedeli del programma di governo accompagnati da scelte esotiche di uomini di Dio sconosciuti anche agli stessi futuri confratelli
Roma. Il prossimo 8 dicembre, il Papa terrà un concistoro per la creazione di venti cardinali elettori e di un non elettore, il novantanovenne nunzio apostolico Angelo Acerbi. Il tetto non tassativo fissato a suo tempo da Paolo VI (120 elettori) sarà quindi superato, segnando un record: 140 alla fine dell’anno, a meno di non preventivabili accadimenti dovuti ai disegni della divina Provvidenza. Dopo dieci concistori, c’è ben poco che possa sorprendere nelle scelte di Francesco. Lo schema seguìto è il solito: uomini fidatissimi e presumibilmente interpreti fedeli del programma di governo accompagnati da scelte esotiche di uomini di Dio sconosciuti anche agli stessi futuri confratelli (è il caso, ad esempio, della porpora al vescovo di Bogor, secondo cardinale elettore indonesiano. La diocesi ha 94 mila cattolici su una popolazione di 20 milioni). Bergoglio premia la persona più che la sede, come dimostra Santiago del Cile, che avrà ora quattro cardinali di cui due elettori. Considerando solo gli elettori, cinque sono i sudamericani, quattro gli asiatici, un africano, un canadese, sei gli europei. C’è poi l’arcivescovo di Teheran (un belga), quello di Algeri (un francese), un ucraino esarca in Australia. Ha scritto lo storico Massimo Faggioli: “Avere più cardinali provenienti ‘dalle periferie’ del mondo significa avere un collegio cardinalizio più rappresentativo della Chiesa globale, ma anche più cardinali fisicamente distanti dal Papa e dalla Curia romana e quindi potenzialmente meno in grado di consigliare il Papa e la curia”.
Al di là delle consuete analisi sull’internazionalizzazione del Collegio e i commenti sulle periferie da portare a Roma, due sono gli aspetti che meritano sottolineatura. Intanto, il ridimensionamento della compagine africana (l’arcivescovo di Algeri, mons. Jean-Paul Vesco, è francese di Lione), con solo il titolare di Abidjan cooptato fra i cardinali. Considerando che nell’ultimo anno sono divenuti non elettori due africani e tre lo diverranno l’anno prossimo, il bilancio “in perdita” è facilmente intuibile. Che sia una conseguenza dell’eclatante opposizione degli episcopati africani alla dichiarazione Fiducia supplicans che autorizzava la benedizione delle coppie omosessuali? Il dubbio è lecito, soprattutto se si considera la scelta di mons. Vesco, che ha posizioni opposte a quelle dei confratelli dell’Africa subsahariana sulle questioni di morale e pastorale famigliare. L’altro tema, politicamente più delicato, riguarda l’Ucraina. Non tanto l’esclusione dell’arcivescovo maggiore, Sviatoslav Shevchuk, quanto la scelta di creare cardinale al suo posto un quarantaquattrenne greco-cattolico che guida l’eparchia a Melbourne, in Australia. Shevchuk non è un vescovo qualunque, ma è capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina. Nonché, tra l’altro, arcivescovo maggiore di Kyiv. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, Shevchuk è divenuto un simbolo della resistenza, con i suoi comunicati quotidiani in cui aggiornava sull’andamento del conflitto e sottolineava le numerose prove di fede del popolo stremato. Era l’interlocutore principale di Roma sul campo di guerra. Aver deciso di creare cardinale un ucraino ma di andarlo a prendere in Australia sa tanto di umiliazione che di certo renderà Shevchuk più debole agli occhi del Cremlino e del Patriarcato moscovita, che altro non attendeva se non vedere il nemico ammaccato. E di riflesso renderà ancora meno popolare la figura del Papa in quella martoriata terra.