tra chiesa e politica

È finita la tregua con il governo: i vescovi scendono in campo

A due settimane dal voto la Cei contesta l'autonomia differenziata: “Aumenterà gli squilibri territoriali”

Matteo Matzuzzi

Da tempo una parte consistente dell’episcopato – soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno – aveva annunciato battaglia contro il progetto di revisione delle autonomie. Lo stesso presidente aveva ammesso che era radicata una “preoccupazione di molti vescovi del meridione di fronte al progetto” di matrice leghista

A due settimane dal voto per le europee e le amministrative, i vescovi italiani scendono in campo. Dopo i dubbi del cardinale presidente della Cei, Matteo Zuppi, sul premierato manifestati giovedì – “Gli equilibri istituzionali vanno toccati sempre con molta attenzione” e il tema “va affrontato con lo spirito della Costituzione: come qualcosa di non contingente, che non sia di parte” – ieri è arrivata una Nota della Cei sull’autonomia differenziata, punto cardine del programma di governo caro alla Lega. Il giudizio è netto: “Ci preoccupa qualsiasi tentativo di accentuare gli squilibri già esistenti tra territori, tra aree metropolitane interne, tra centri e periferie. In questo senso, il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata – prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica”. Tale rischio, prosegue l’articolata Nota, “non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute, cui è dedicata larga parte delle risorse spettanti alle regioni e che suscita apprensione in quanto inadeguato alle attese dei cittadini sia per i tempi sia per le modalità di erogazione dei servizi”. Infine, si osserva, “gli sviluppi del sistema delle autonomie non possono non tener conto dell’effettiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale”. Non è una sorpresa, già ventiquattro ore prima, durante la conferenza stampa a chiusura dell’assemblea generale della Cei, il cardinale Zuppi aveva detto che “l’autonomia differenziata è un problema che riguarda tutto il paese e quindi la Chiesa italiana nel suo insieme”

 

Da tempo una parte consistente dell’episcopato – soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno – aveva annunciato battaglia contro il progetto di revisione delle autonomie e lo stesso presidente aveva ammesso che era radicata una “preoccupazione di molti vescovi del meridione di fronte al progetto” di matrice leghista. A guidare la “rivolta” con toni d’altri tempi era stato l’arcivescovo di Napoli, mons. Domenico “don Mimmo” Battaglia, che lo scorso gennaio aveva vergato un suo personalissimo non possumus: “La volontà egoistica dei ricchi e dei territori ricchi, il progetto, antico di poco più di quarant’anni fa, di dividere l’Italia, separando il suo nord, divenuto opulento con le braccia e l’intelligenza dei meridionali, da quel sud impoverito dalla perdita di risorse, di forze fisiche e intellettuali, svuotato progressivamente di fondamentali sue ricchezze al posto delle quali sono arrivati a fiumi di inganni e false promesse”. Una bocciatura, seppur meno netta e senza toni epici, era arrivata anche dai vescovi siciliani, che chiedevano l’attuazione piena dell’autonomia della loro regione denunciando una riforma che “tende a creare asimmetrie all’interno di un regionalismo asimmetrico”. E se i presuli pugliesi chiedevano di non minare “il principio di uguaglianza della Costituzione”, quelli calabresi si dicevano certi che l’autonomia differenziata “darà forma istituzionale agli egoismi territoriali della parte più ricca del paese, amplificando e cristallizzando i divari territoriali già esistenti, con gravissimo danno per le persone più vulnerabili e indifese”.  

 

A ogni modo, la presa di posizione della Conferenza episcopale italiana su due delle riforme più qualificanti l’agenda del governo conferma una tensione crescente tra i vescovi e Palazzo Chigi. Dopo una fase iniziale di concordia e cortesia istituzionale, le prime crepe s’erano registrate sul tema migratorio, con le perplessità (eufemismo) manifestate dall’episcopato circa l’accordo con l’Albania. Dal governo si rispondeva sottolineando la non scontata “simpatia” del Papa verso la premier, con tanto di partecipazione congiunta agli Stati generali della natalità nel 2023 e – da ultimo – il previsto arrivo di Francesco a Borgo Egnazia per il G7. Capillarmente, però, a livello territoriale, le distanze si stanno facendo più larghe. Ciò è dovuto sia a distanze evidenti riguardanti – per così dire – l’applicazione della dottrina sociale della Chiesa, sia – più politicamente – il ricambio massiccio dei vescovi italiani portato avanti da Papa Francesco negli ultimi undici anni. Operazione che ha fatto venir meno l’antica maggioranza “ruiniana”.
 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.