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La guerra fra le Chiese ortodosse in Africa

Soldi russi, lusinghe tante e risultati scarsi. L'operazione di Kirill ha portato molti preti ad abbandonare l'obbedienza ad Alessandria, ma senza investimenti, il bottino per il Cremlino risulterà magro

Matteo Matzuzzi

La campagna d’espansione punta tutto – pubblicamente – sui “valori tradizionali” e sulla necessità di non farsi contaminare dalla “decadenza occidentale”. Quanto ai finanziamenti promessi, pochi hanno al momento visto lievitare i propri conti correnti bancari.

Roma. Trono e altare uniti, a Mosca, per espandere l’influenza e il potere della Chiesa ortodossa russa in Africa. Lo scorso luglio, il Patriarca Kirill aveva espresso il desiderio di pesare di più in quel continente, soprattutto dopo la decisione del Patriarcato di Alessandria (benedetta da Bartolomeo di Costantinopoli) di riconoscere l’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina, alla fine del 2019. Immediatamente, Kirill bollò come scismatiche le due Chiese e per tutta risposta il Patriarca Teodoro II di Alessandria accusò il capo della Chiesa russa di “dividere i credenti” non riconoscendogli il diritto di “indurre in errore il gregge di Cristo su questioni politiche”. La questione fin dal principio è apparsa delicata, perché Teodoro ha il titolo di Patriarca anche “di tutta l’Africa” e la sua giurisdizione si estende su tutto il continente africano, controllando dunque un milione di credenti. Con la frattura tra Mosca e Alessandria, quindi,  Kirill ha visto allontanare dalla propria orbita d’influenza una parte cospicua di fedeli e di clero. Teodoro, da parte sua, ha invitato tutti a non cedere alle sirene moscovite ma con poco successo. Per capire quanto sta accadendo è utile guardare la situazione nella Repubblica Centrafricana, da tempo in bilico fra tensioni etniche e religiose, tant’è che nel 2015 Papa Francesco decise di aprire proprio lì, a Bangui, il Giubileo della misericordia. 

 

Ed è lì che lo scontro fra oriente e occidente, Russia da una parte e gli altri dalla parte opposta, ha trovato il suo epicentro. Il governo russo ha finanziato la costruzione di scuole e infrastrutture, organizzando un’intensa attività di lobbying anche religiosa che ha prodotto i suoi frutti: decine di religiosi hanno lasciato Alessandria sposando la causa di Mosca. L’influenza russa, dunque, non solo si esercita a livello burocratico, infrastrutturale e militare, ma anche a quello più spirituale. Tuttavia, la vittoria è solo apparente, perché molte delle lusinghe russe sono rimaste sulla carta. L’Economist ha scritto che nel solo Kenya almeno novanta sacerdoti hanno “disertato”, passando all’Esarcato patriarcale d’Africa, istituito nel 2021, che rivendica giurisdizione su più di duecento parrocchie in venticinque paesi africani, controllando le due eparchie dell’Africa settentrionale e meridionale. L’esarcato promette piani per progettare e costruire scuole, ospedali e cattedrali e perfino un centro spirituale a Kampala, davanti al palazzo presidenziale ugandese. Uno dei sacerdoti  che hanno giurato fedeltà a Mosca  dice che ha abbandonato Teodoro al suo destino a causa “dello scisma ucraino” ma aggiunge che il passaggio all’obbedienza moscovita gli ha portato numerosi benefici: ha visto raddoppiare il suo stipendio, ha potuto far studiare suo figlio a Mosca e ha ricevuto fondi per l’orfanotrofio che gestisce. Pecunia non olet, insomma. Ma l’operazione annunciata da Kirill la scorsa estate va di pari passo con i desiderata del Cremlino di aumentare l’ostilità verso l’occidente e l’Africa è il terreno ideale, ha sottolineato al settimanale britannico il teologo ucraino Cyril Hovorun. La campagna d’espansione punta tutto – pubblicamente – sui “valori tradizionali” e sulla necessità di non farsi contaminare dalla “decadenza occidentale”. Quanto ai finanziamenti promessi, pochi hanno al momento visto lievitare i propri conti correnti bancari. Molte parrocchie restano confinate in baracche, i moderni edifici promessi restano abbozzi su carta. C’è anche un problema di leadership, dice Hovorun: in un primo momento a Mosca s’era deciso che a gestire l’avamposto africano sarebbe stato l’ex vescovo di Klin, Leonid Gorbaciov, “che però è sempre stato più interessato ai cannoni militari che ai canoni della Chiesa”. Tipo bizzarro, che prima d’essere sostituito – licenziato nella migliore tradizione delle purghe – era diventato un convinto seguace di Evgeni Prigozhin. A Roma, sponda vaticana, seguono attentamente l’evoluzione della guerra silenziosa fra le Chiese ortodosse, temendo anche la saldatura con settori tutt’altro che secondari del cattolicesimo locale nel campo della morale. Sulla sessualità, ad esempio, come dimostrano le reazioni post Fiducia supplicans, le Chiese africane sembrano più vicine al Patriarcato di Mosca che alla Santa Sede.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.