Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e Papa Francesco - foto Ansa

L'analisi

La Chiesa, l'Italia antifascista e l'antisemitismo nascosto sotto il tappeto

Franco Lo Piparo

Capitoli del passato recente rimossi dal dibattito pubblico: se vogliamo capire il presente dobbiamo per forza ricordarci di ciò che è stato, ogni aspetto (anche quello più oscuro)

Nelle Università italiane (e americane) si registra un rigurgito di antisemitismo. Il fenomeno ci scandalizza, giustamente. Temo che ci sorprenda anche perché capitoli imbarazzanti della nostra storia recente li abbiamo accuratamente nascosti sotto il tappeto e abbiamo preferito rimuoverli dal nostro dibattito pubblico.

Va ricordato, a chi non lo sapesse o volesse dimenticarlo, che l’ostilità verso gli ebrei (etichettati come “deicidi”) è stata parte non secondaria del senso comune cattolico. Per fortuna ciò appartiene al passato e non tutto il mondo cattolico ne è stato coinvolto. E però ancora nel 1958 nella liturgia cattolica del Venerdì santo il fedele diceva la preghiera che riporto in italiano: “Preghiamo anche per i perfidi giudei, affinché Dio nostro Signore tolga il velo dai loro cuori e riconoscano anch’essi Gesù Cristo Signore Nostro. Dio Onnipotente ed eterno che non ricusi la tua misericordia neppure ai perfidi giudei, degnati di esaudire le preghiere che ti rivolgiamo per questo popolo cieco, affinché, riconoscendo la luce della tua verità, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre”.

Dopo vari aggiustamenti e rimozioni delle parti più imbarazzanti, solo nel 1973 la preghiera viene riformulata in maniera radicale: “Preghiamo per gli ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà della sua alleanza. Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione”.

Non pochi intellettuali futuri antifascisti aderirono con convinzione alle leggi razziali emanate dal governo fascista a partire dal 1938. Ne cito alcuni con relative dichiarazioni: Guido Piovene (“l’inferiorità di alcune razze è perpetua”), Giorgio Bocca (1941: “Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù”), Gabriele De Rosa (1939: “Di quale male ora ti lamenti, losco figlio d’Israele, qual è la tua sofferenza atroce che ti suscita il pianto? Quali ingiustizie credi siano state commesse in te? Taci ti dico; nasconditi in una buca; che è poco quello che ora sconti!”).

Aderirono alle leggi razziali molti intellettuali. Fra questi: Antonino Pagliaro, Giulio Carlo Argan, Giovanni Spadolini, Enzo Biagi, Concetto Pettinato, Mario Missiroli, Nello Quilici, Emilio Cecchi, Luigi Firpo, Giacomo Prampolini, Delio Cantimori.

Il ministro Giuseppe Bottai fu uno degli attori principali del razzismo fascista: porta anche la sua firma l’odioso regio decreto legge del 5 settembre del 1938 con cui vengono espulsi dalle scuole italiane insegnanti e allievi ebrei; è sua l’iniziativa di fare dichiarare ai membri delle Accademie, mediante la compilazione di un questionario, la non appartenenza alla razza ebraica. Tra i pochissimi che si rifiutarono di compilare il questionario troviamo Benedetto Croce e Gaetano De Sanctis. Aderirono alla richiesta Luigi Einaudi, Norberto Bobbio, Concetto Marchesi, Natalino Sapegno, Galvano della Volpe.

Il liberale Benedetto Croce aveva una marcia in più rispetto ai tanti che a fascismo caduto diventeranno marxisti o filomarxisti e motivò con una lettera pubblica il suo rifiuto di dichiararsi non ebreo: “L’unico effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo me che ho per cognome CROCE, all’atto odioso e ridicolo insieme, di protestare che non sono ebreo proprio quando questa gente è perseguitata”.

Dal 1940 al 1943 lo stesso Bottai diresse la rivista “Primato”. Con essa collaborarono molti che saranno importanti intellettuali antifascisti nel dopoguerra: Eugenio Scalfari, Nicola Abbagnano, Mario Alicata, Corrado Alvaro, Gianfranco Contini, Galvano Della Volpe, Francesco Flora, Salvatore Quasimodo, Carlo Emilio Gadda, Cesare Pavese, Sergio Solmi, Ugo Spirito, Carlo Muscetta, Luigi Russo, Luigi Salvatorelli, Giuseppe Ungaretti, Renato Guttuso, Mino Maccari, eccetera. Questi illustri, e futuri antifascisti, collaboratori del “Primato” non sapevano che il direttore della rivista era un convinto antisemita? Non leggevano gli articoli in difesa della razza ariana che venivano pubblicati nella rivista in cui scrivevano? La loro collaborazione con la rivista diretta dal razzista Bottai non è segno, se non di adesione esplicita all’antisemitismo, di scarsa, molto scarsa, sensibilità al problema?

Il passato bisogna ricordarlo tutto se vogliamo capire il presente.

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