Un naufragio accademico
Hamas ha fatto precipitare i campus nella loro peggior crisi
Un comitato di professori ospitato dalla George Washington University, attraverso la figura di Michael Barnett, ha dichiarato che: "Israele può giustamente rivendicare l’autodifesa, ma voglio sottolineare che anche Hamas ha il diritto di resistenza"
La facoltà di medicina della George Washington University ha ospitato un comitato di docenti che ha dichiarato che i terroristi di Hamas hanno un “diritto alla resistenza” contro Israele. La discussione del 4 dicembre era intitolata “Comprendere il conflitto in Israele e Palestina”. “Israele può giustamente rivendicare l’autodifesa, ma voglio sottolineare che anche Hamas ha il diritto di resistenza”, ha detto durante il panel Michael Barnett, professore di Affari internazionali e Scienze politiche. Il 7 ottobre ha causato una delle peggior crisi di legittimità e credibilità della storia accademica americana. Attivisti filopalestinesi hanno proiettato sugli edifici dei campus gli slogan “il sionismo è razzismo” e “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. La settimana scorsa, una folla di centinaia di persone chiedeva un cessate il fuoco ha marciato attraverso il centro di Filadelfia, compreso il campus della Penn. Si sono fermati al ristorante Goldie, di proprietà di uno chef ebreo israeliano, e cantato: “Goldie, Goldie, non puoi nasconderti: ti accuseremo di genocidio!”.
Congresso americano, martedì 5 dicembre. Un’immagine avvincente: i presidenti di tre delle università più prestigiose del mondo – Harvard, l’Università della Pennsylvania e il Massachusetts Institute of Technology – sedute insieme al tavolo dei testimoni. Tutte donne, una nera e una ebrea. Le tre vengono interrogate sulla furia decolonialista e antisemita che si sta scatenando nei campus di tutta l’America. “L’appello al genocidio degli ebrei costituisce una forma di molestia che vìola le regole della vostra università, sì o no?”, chiedono i deputati. Le tre rispondono evasivamente: “Dipende dal contesto”. Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer e nipote delle vittime dell’Olocausto, parla di “uno dei momenti più spregevoli della storia del mondo accademico”.
Ora la presidente di Harvard, Claudine Gay, affronta crescenti pressioni per dimettersi mentre ex alunni, donatori e politici di spicco chiedono la sua cacciata. Ma un gruppo di docenti si è mobilitato per sostenerla. Più di 650 membri della facoltà di Harvard hanno firmato una petizione a suo favore (Harvard ha 2.300 docenti). Gay si è scusata per le osservazioni davanti alla commissione del Congresso, che ha riconosciuto essere inadeguate. Sabato, la presidente dell’Università della Pennsylvania, Elizabeth Magill, si è dimessa. E si sono fatte più forti anche le richieste dei donatori affinché la presidente del Massachusetts Institute of Technology, Sally Kornbluth, si faccia da parte. Nel frattempo, ad Harvard, David Wolpe, uno studioso presso la Divinity School, si è dimesso da un comitato sull’antisemitismo istituito dalla presidente dopo che la sua reazione al 7 ottobre è stata ritenuta carente.
Forte la pressione dei donatori perché le presidi si dimettano, come Bill Ackman, ex di Harvard a capo dell’hedge fund di New York Pershing Square Capital Management, e un altro titano di Wall Street, Marc Rowan, ex studente della Penn e fondatore di Apollo Global Management, una delle più grandi società di private equity al mondo. Ackman ha preso di mira Gay con una serie di critiche su X. L’ha invitata a una proiezione delle atrocità di Hamas. Quando l’ufficio di Gay ha risposto che la presidente avrebbe testimoniato davanti al Congresso, Ackman si è offerto di inviarle il suo jet privato. E durante una visita ad Harvard, Gilad Erdan, ambasciatore israeliano all’Onu, ha affermato che l’università è diventata “pericolosa per gli ebrei” e “un’incubatrice” per i sostenitori dei terroristi”.
Tra i firmatari a favore di Gay anche Laurence Tribe, celebre studioso di diritto costituzionale, che aveva definito la testimonianza di Gay al Congresso sull’antisemitismo “titubante, stereotipata e stranamente evasiva”. Sotto accusa però, oltre alle presidi, anche il “dei”, diversity equality inclusion, il politicamente corretto che ha dominato le università americane nell’ultimo decennio. “Cacciate la preside e smantellate l’orwelliana ‘diversità’”, scrive invece il giurista di Harvard, Alan Derscowitz.
Se siamo davvero tutti uguali, al di là di colore della pelle e del genere sessuale “preferito”, se il “misgendering” (sbagliare pronome) è considerato molestie, perché invocare l’uccisione di ebrei non lo è ma dovrebbe “dipendere” dal contesto? Alla Brown University – un’altra delle perle della Ivy League – insegnava Lisa Littman. Ma ha messo in dubbio che tutti i transgender siano legati a una effettiva disforia. Ha ipotizzato invece che potrebbe essere una specie di contagio sociale. Littman ha pubblicato i suoi risultati in un saggio. Littman, la rivista e la Brown University sono stati virtualmente presi a calci con accuse di “transfobia” sulla stampa e sui social. In risposta, il giornale ha annunciato un’indagine sul lavoro di Littman. Diverse ore dopo, la Brown University ha emesso un comunicato che denunciava il lavoro della professoressa. La carriera di Littman era ormai distrutta. Non insegna più alla Brown e il suo contratto al dipartimento della Salute dello stato del Rhode Island non è stato rinnovato. Il corpo studentesco della Brown University ha appena votato una mozione in cui la strage del 7 ottobre di Hamas è definita una “vittoria”. Dunque in una grande università americana non puoi mettere in discussione il gender (maschi e femmine), ma puoi definire l’uccisione di 1.200 civili israeliani come una “vittoria”. Magari il problema fossero tre rettrici confuse.