Il caridnale Giacomo Biffi - foto Ansa

In libreria

"Pace non deve essere il nome nuovo della viltà". La lezione del cardinale Biffi

Matteo Matzuzzi

Il no al pacifismo come resa alla sopraffazione nel nuovo libro del religioso bolognese "La meraviglia dell’evento cristiano" di Emanuela Ghini

 

È in libreria, per l’editore Cantagalli, “La meraviglia dell’evento cristiano” (448 pp., 26 euro). In questo volume, il cardinale Giacomo Biffi (1928-2015) affronta cento temi fondamentali per la vita cristiana, con la forza, l’incisività, il tono sferzante, ironico, a volte dissacratorio, che ha contraddistinto i suoi scritti.


   

La grandezza di un uomo può essere valutata anche a distanza di secoli o decenni, e uno dei criteri migliori per farlo è controllare se di lui si parla ancora e – soprattutto – se si discute delle sue parole e delle sue opere. Insomma, se l’eredità dice ancora qualcosa a noi contemporanei. Giacomo Biffi è stato un grande uomo di Chiesa, “l’Italiano cardinale” che ambrosiano doc divenne “irrevocabilmente bolognese” per decisione di Giovanni Paolo II, che nella città emiliana lo mandò a fare l’arcivescovo. Di Biffi si è detto e scritto di tutto, e lui di materiale ne ha offerto in abbondanza. Aveva la capacità, nonostante l’enorme cultura e la sapienza teologica, di rendere semplici i concetti più complessi. In modo che tutti potessero afferrare l’essenziale. E per farlo, il modo migliore per un prete è curare le sue omelie. La predica durante la messa, elemento spesso snobbato anche per colpa di chi non la sa fare o non si prepara. Eppure è proprio quello quel che, il più delle volte, resta nella testa di chi ha partecipato all’eucaristia. 

 

In questo libro, "La meraviglia dell’evento cristiano", Emanuela Ghini, carmelitana dalla ricchissima produzione editoriale in campo teologico, mette insieme cento “temi fondamentali per la vita cristiana”, traendoli dalle omelie pronunciate da Biffi nel suo primo decennio bolognese, dal 1984 al 1994. Biffi non è mai stato un discepolo della “prudenza diplomatica”, tanto meno del politicamente corretto. Tutt’altro, ma non è una novità. È però d’estremo interesse rileggere quanto diceva trenta o quarant’anni fa sui grandi mali del nostro tempo, la diagnosi precisa e netta di quel disorientamento in cui era ed è emerso l’uomo di oggi. Parole valide allora e ancor più oggi

 

Che dire, poi, della pace, del suo significato più profondo, tema che più attuale non potrebbe esserci. “Sul concetto di pace sono sempre possibili equivoci e confusioni. Non è un valore la pace, se si risolve nella resa alla prepotenza, nella via libera data all’ingiustizia e alla sopraffazione, nella rassegnazione alla perdita della libertà. Pace non deve essere il nome nuovo della viltà; pace non può significare acquiescenza alle forze del male e alle spavalde e spudorate incursioni della menzogna”. Ancora, “si servirebbe molto meglio la causa della pace, se, invece di reclamare disarmi unilaterali, immediati e senza garanzie (col rischio di provocare così l’aggressività e la temerarietà dell’altro contendente), ci si adoperasse piuttosto perché una pubblica opinione, forte e libera di manifestarsi, diventasse davvero una realtà di tutti i paesi della terra”. Che dire poi del pacifismo, di cui “non tutte le iniziative servono davvero alla pace. Cinquant’anni fa è già capitato all’Europa che un’irenica arrendevolezza finisse con l’incoraggiare i prepotenti ad attuare in modo più radicale i loro progetti di aggressione”. Scrive la curatrice che “e l’ironia smitizza, il senso dell’umorismo ridà fascino a espressioni esigenti del messaggio di Cristo, che rischiano di essere appiattite o ridotte al silenzio, per non ferire ascoltatori incapaci di reggere all’urto dell’annuncio evangelico”. Proprio Biffi sosteneva, presentando "Perché sono cattolico" di Chesterton, che “oggi, in nome dell’irenismo e della tolleranza, pare vadano sbiadendosi i confini tra l’errore e la verità. E dal momento che nessuna asserzione è più condannabile, è straordinariamente difficile diventare eretici. Personalmente la cosa mi secca un po’, perché ci tengo alla mia libertà di compiere tutte le trasgressioni, anche se spero che da tutte mi preservi la grazia di Dio”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.