in germania

Il Sinodo tedesco è finito. E ora che cosa succede?

Il Synodale Weg fu voluto per far fronte allo scandalo degli abusi sessuali. E' finito con la richiesta di aprire alle donne l'ordinazione sacerdotale. Roma aspetta e si prepara

Matteo Matzuzzi

Quindici i documenti approvati e la consapevolezza che non tutto potrà ottenere il via libera di Roma. Ma qualcosa, in Germania, se lo aspettano. Il Papa tirerà le somme al Sinodo universale che si aprirà in Vaticano nel prossimo autunno

Ora che il Synodale Weg, il Cammino sinodale tedesco si è concluso, le carte sono tutte ben visibili sul tavolo, ed è quindi possibile capire la portata delle richieste avanzate, anche se  non si sa  bene a chi, considerato che più d’un vescovo e molti laici che hanno partecipato al lungo percorso hanno fatto intendere – chi più esplicitamente, chi meno – che l’opinione di Roma conta, ma fino a un certo punto. Lo stesso presidente della Conferenza episcopale, mons. Georg Bätzing, in una recente intervista televisiva ha dichiarato la propria (ovvia) disponibilità a discutere con il Vaticano, anche se  – ha precisato –  “la nostra azione non cambierà”.  A ogni modo, è innegabile che il Cammino sinodale della Chiesa tedesca abbia avuto, e continui ad avere, una rilevanza globale. I delegati erano 230, rigorosamente divisi in gruppi di lavoro (i quattro forum), vi hanno partecipato tutti i vescovi e moltissimi laici. Si potrebbe dire che il “Popolo di Dio”, che è infallibile in credendo, era presente a Francoforte, parentesi su Zoom causa lockdown compresa. Ma cosa hanno deliberato in Germania? Innanzitutto, il via libera alla benedizione delle coppie formate da persone dello stesso sesso, quindi il sì al riaccostamento all’eucarestia per i divorziati risposati. Sono stati approvati testi importanti (quindici, nel complesso), come quello che punta al diaconato femminile chiedendo – stavolta al Papa – che sia resa possibile, un domani, anche l’ordinazione sacerdotale delle donne.

Voto favorevole all’eliminazione dell’obbligo del celibato per i preti, al fatto che le donne e i laici predichino durante la messa. E poi la diversità di genere, che va capita, compresa e accompagnata: 38 vescovi hanno votato sì, 7 no e 13 hanno preferito astenersi. Qui l’assemblea ha penato parecchio: la prima bozza, intitolata “Vivere in rapporti che funzionano. Linee di fondo di un’etica sessuale rinnovata”, era stata bocciata lo scorso settembre, non avendo ottenuto i due terzi dei voti favorevoli. Alla fine, dopo settimane di lavoro, è stato trovato un compromesso che ha deluso quanti spingevano sull’acceleratore. Eppure, nel testo approvato, si leggono critiche al “Magistero che ignora l’esistenza di varianti non binarie” e si arriva a chiedere che nei registri battesimali sia consentito di non indicare il genere del bambino o, se proprio  non si vuole lasciare libera la casella, la facoltà di scrivere “diverso”. Esulta, per l’approvazione del documento sul diaconato femminile, il vescovo di Fulda, mons. Michael Gerber, che ora auspica che tale apertura sia intesa per tutti i ministeri ordinati. Dopotutto, l’80 per cento dei vescovi ha approvato la richiesta che il Pontefice riveda l’Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II, che si conclude in un modo che più netto non si potrebbe: “Al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”. Definitivo, dunque. Lo stesso Papa Francesco più volte s’è soffermato su tale parola, per dire che “la questione è chiusa”. Qualcuno, come la superiora francescana Katharina Ganz, la pensa diversamente e avrebbe sperato in qualcosa di più: s’è detta dispiaciuta che la priorità ce l’abbia il diaconato femminile. Lei avrebbe voluto subito il sì alle donne prete sull’altare. 

 

Le conclusioni del Synodale Weg non sono mai state in dubbio: senza considerare il laicato attivo in Germania, la schiacciante maggioranza dell’episcopato era a favore del “piano di riforme”, a cominciare dall’ex presidente, il cardinale Reinhard Marx, che pure guida la diocesi di Monaco, madre della Baviera da sempre fedele a Roma. Fu lui, durante il Sinodo universale sulla famiglia a far capire che le acque del Reno erano tornate a scorrere impetuose nel Tevere, dicendo a confratelli, giornalisti e popolo che non sarebbe stata più Roma “a dirci quello che dobbiamo fare qua”. A quasi un decennio di distanza, gli fa eco il confratello mons. Franz-Josef Overbeck, stanco dei freni imposti dal Vaticano: a suo giudizio, la Chiesa in Germania può anche fare da sola in certi campi, senza attendere arcaici nulla osta spediti da Oltretevere. Anche perché, affermano i riformatori, dietro alla Germania c’è una lunga lista di Chiese locali che invocano i medesimi aggiornamenti. L’ha esplicitamente detto la segretaria generale della Conferenza episcopale tedesca, Beate Gilles, guardando con favore il vicino Belgio fiammingo che ha già proceduto ad autorizzare la benedizione delle coppie omosessuali, per ammissione del vescovo di Anversa, mons. Johan Bonny. 

 

La reazione romana, però, è stata forte. Probabilmente molto più vigorosa di quel che l’attuale numero uno dei vescovi tedeschi, mons. Bätzing, s’attendeva. Lui era partito lancia in resta, annunciando cambiamenti, venti primaverili e promettendo svolte. Veniva a Roma e si faceva fotografare di spalle mentre saliva gli scaloni del Palazzo apostolico, quasi che sulle sue spalle gravasse il peso d’una Chiesa in travaglio desiderosa di cure e imponenti ristrutturazioni. Rappresentazioni sceniche studiate, un po’ alla Murnau per dare quell’effetto cinematografico che ci vuole per accompagnare momenti solenni. Al termine del Cammino sinodale, però, Bätzing s’è fatto prudentissimo. Non ha mandato giù le dure frasi del Papa consegnate ai giornalisti: “Il dialogo va bene, ma non è un Sinodo, non è una vera e propria via sinodale. Lo è solo di nome, ma è guidato da un’élite e il Popolo di Dio non è coinvolto. L’esperienza tedesca non è utile e non aiuta”. Mons. Bätzing espresse pubblicamente perplessità sul fatto che la Chiesa potesse essere governata a colpi di interviste. Non aveva forse previsto i toni usati nelle lettere inviate dai prefetti curiali, la sconfessione dei progetti più imponenti e temerari, come la costituzione di quel Consiglio sinodale formato da vescovi e laici che i cardinali Parolin (segretario di stato), Ladaria (Dottrina della fede) e Ouellet (vescovi) hanno definito essere contro ogni regola canonica. A frenare lo spirito germanico ci hanno pensato – e forse è questo ciò che ha un po’ disorientato il presidente della Conferenza episcopale tedesca – i cardinali Mario Grech e Jean-Claude Hollerich, rispettivamente segretario generale del Sinodo dei vescovi e relatore del prossimo grande appuntamento sinodale romano. I due, infatti, non sono per nulla ostili in linea di principio alla linea riformista, ma  hanno messo nero su bianco, lo scorso gennaio, che “chi pretende di imporre al Sinodo un qualche tema dimentica la logica che regola il processo sinodale: siamo chiamati a tracciare una ‘rotta comune’ a partire dal contributo di tutti”. E a questi ammonimenti si segnala la lunga lettera scritta dal Papa anni fa, alla vigilia della partenza del percorso sinodale tedesco, gli altolà dei vari uffici di curia competenti sul tema e perfino la preoccupazione manifestata dal cardinale Walter Kasper, che arrivò a chiedersi se fosse davvero tutto cattolico quel che si discuteva a Francoforte.

 

Cos’è che, in pochi anni, ha irrigidito Roma? La risposta risulta evidente se si confrontano le ragioni che portarono alla convocazione del Synodale Weg con le sue conclusioni. Il Cammino sinodale tedesco fu voluto per far fronte allo scandalo degli abusi sessuali e al loro relativo occultamento. Da qui, la necessità di rendere la Chiesa sinodale e più credibile. Punti non certo “esplosivi”, ma chiaramente inseriti in un percorso che più volte anche lo stesso Francesco aveva indicato. Il problema è che da questo punto di partenza si è giunti a votare documenti che chiedono, come s’è visto, l’ordinazione delle donne e l’eliminazione dell’obbligo del celibato per i preti. Come se la Chiesa possa diventare più credibile se i sacerdoti avranno famiglia e le donne potranno celebrare l’eucaristia. E’ chiaro che la meta finale non corrisponde in niente e per niente alla destinazione finale dichiarata quando si trattò di partire. Il fatto è che la quasi totalità dei vescovi tedeschi è convinto che non ci sia più tempo da perdere e che la Chiesa diventi credibile solo aprendo le porte e innovando, anche a costo di andare contro il Vaticano e i Papi che lo governano pro tempore. I cardinali Gerhard Müller e Raymond Leo Burke chiedono a Francesco di punire e rimuovere i vescovi che hanno approvato i documenti più controversi del Cammino sinodale, ma il problema è che sono l’81 per cento. Si tratterebbe di azzerare l’intera Conferenza episcopale tedesca (Francesco l’ha già fatto con quella cilena, ma il peso di una simile azione sarebbe assai diversa, dato che la Germania non è il Cile). 

 

L’impressione è dunque quella di un treno ormai avviato a tutta velocità verso il grande sinodo universale che si celebrerà a Roma tra l’autunno di quest’anno e quello del prossimo. Senza sapere bene, però, come le richieste tedesche saranno accolte, tradotte e comprese nella necessaria sintesi che sarà poi sottoposta al vaglio e all’approvazione papale. Il sito Katholisch.de s’è domandato se il Cammino sinodale tedesco “sia stato un successo o uno scisma”, cogliendo dunque tutta la portata travolgente dei cambiamenti votati e proposti a Roma. Anche perché da Francoforte sono stati ben pochi i passi mossi in direzione del Vaticano, anzi: non di rado l’impressione è stata quella di volere andare al redde rationem, allo scontro. Con la consapevolezza di non essere da soli, ma di rappresentare  l’avanguardia di un movimento assai forte e corposo, che dall’America latina all’Australia, fino all’Europa mitteleuropea e iberica, preme per una svolta dai contorni  non del tutto definiti.  E’ comunque una “sfida per Papa Francesco”, ha scritto la Croix: Papa Francesco “che ha sempre promosso iniziative locali, ma il cui compito è di preservare l’unità della Chiesa universale”. Questo è il cuore del problema, tenere insieme spinte sempre più forti e ribadire il valore del primato petrino, cum Petro et sub Petro. Come fare? L’impressione è che neanche in curia lo sappiano bene. A microfoni spenti e taccuini chiusi, pure tra coloro che pur si ritengono convinti che la missione del pontificato sia più che valida e necessaria, i dubbi aumentano: è chiaro che la Germania non può tornare indietro, pena una sostanziale irrilevanza che annichilirebbe l’intera – potentissima e ricchissima – conferenza episcopale. Ma Francesco non può neanche validare ogni cosa partorita a Francoforte. I fautori del Synodale Weg lo sanno bene, non a caso hanno sottolineato che non tutto potrà ottenere il placet vaticano, che loro lo scisma non lo vogliono di certo, ma che qualcosa Roma dovrà pur concedere. Che cosa, non si sa. Il celibato, forse, considerate le mezze frasi del Papa consegnate ai media nelle scorse settimane (dopotutto non trattasi di dogma). Sulla predicazione di donne e laici non c’è problema, sul gender non erano convinti neppure i tedeschi, sull’ordinazione delle donne il capitolo è chiuso. 

 

Cruciale risulterà allora il Sinodo sulla sinodalità, ideale compimento del pontificato bergogliano, che rifletterà discuterà e voterà sul senso più profondo della sinodalità. Capire intanto cosa sia – capirlo bene, considerato che lo scorso agosto, nelle riunioni che seguirono il concistoro, diversi vescovi orientali hanno rammentato ai confratelli che “Sinodo” è una cosa seria e non tutto è “sinodale” – e poi prendere le decisioni conseguenti. Un complicato lavoro spetterà al relatore generale, il cardinale lussemburghese Hollerich, riformista ma non avventato. Sempre ricordando che nell’Aula Nuova a Roma non ci saranno solo i novatori, ma anche gli esponenti delle Chiese considerate più conservatrici e di cui ben poco si parla, e non si tratta solo di quella americana ancora legata alla stagione decaduta delle culture war. O si pensa che i vescovi provenienti dall’unico continente dove il cattolicesimo è in forte espansione (l’Africa) voteranno qualcosa sull’ordinazione delle donne e il riconoscimento dell’identità di genere? Di solito, in questi casi i compromessi vincono. Compromessi al ribasso che deludono tutti e rimandano più in là nel tempo la risoluzione dei problemi e delle questione aperte, sperando in una felice decantazione. A meno che qualcuno non metta sul tavolo un jolly insperato.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.