Michela Murgia sull'Osservatore Romano loda san Giuseppe "maschio beta"

Riesumato un testo della scrittrice sarda che parla anche della "gravidanza difficile da spiegare" di Maria

Matteo Matzuzzi

La scrittrice osserva che "in fondo, a scegliere Giuseppe, a dispetto dei racconti apocrifi, non è stato Dio. E’ stata Maria”. Ne loda il silenzio ("Non apre mai bocca") a differenza della Madonna, che parla "contrariamente alla vulgata predicatoria". Ma quale?

L’Osservatore Romano, organo ufficiale della Santa Sede, nel suo inserto mensile “Donne Chiesa Mondo”, ha riesumato qualche giorno fa un brano di Michela Murgia, la scrittrice attenta alle forme e alla lingua, che preferisce usare la schwa perché è ora di finirla con tutte queste desinenze maschili. Argomento: san Giuseppe. Il titolo scelto dal quotidiano diretto da Andrea Monda, docente di Religione, è: “Scelto da Maria fuori dalle norme del patriarcato”. Occhiello: “Sguardi diversi”. E già qui un brivido per il prosieguo s’insinua con forza. 

 

Murgia, novella teologa e anche un po’ biblista, scrive che “non comanda sulla moglie, non comanda sul figlio, a differenza di Maria non induce Gesù a compiere uno straccio di miracolo e per tutta la storia della cristianità sarà marchiato da quell’aggettivo terribile – putativo – che nel sentire comune non ha mai voluto dire altro che finto”. Eppure – riconosce la giacobina che combatte ogni forma di potere maschile (sia un articolo determinativo, sia una “o” a conclusione d’un nome) – “è grazie a lui che Maria non è stata uccisa a causa di una gravidanza difficile da spiegare a un paese intero già con le pietre in mano”. Quindi, scrive Murgia sempre nel testo ripreso dall’Osservatore Romano, “è grazie a lui che il Figlio di Dio ha avuto un’infanzia e un’adolescenza talmente serene da non offrire, in quella banale felicità da villaggio, manco mezzo appiglio narrativo agli evangelisti”. Insomma, il povero Giuseppe ha offerto poco materiale alla narrazione di Marco, Matteo, Luca e Giovanni.

 

Poi, la prosa si fa oscura: “Il punto dolente è che Giuseppe è maschio in un modo che col maschilismo (e quindi con i maschilisti) non c’entra niente, perché in lui il “perché” e il “per chi” coincidono in modo esatto. Non è Ulisse che sogna l’altrove. Non è Enea che fugge perdente da Troia in fiamme, ma solo per fondare un’altra città. Non è Artù che unisce con la spada le contraddizioni della Britannia. E non è nemmeno, per restare agli Atti, un più spirituale Paolo di Tarso, così eloquente da convertire i pagani alla fede più distante di tutte dalla loro”. Però alla Murgia, Giuseppe tutto sommato piace, e non solo perché “non apre mai bocca”, dato che “è lui il vero custode del santo silenzio, non Maria, che invece nei vangeli, contrariamente alla vulgata predicatoria (e chi l’ha mai detto?, ndr), prende parola ben più di una volta”.

 

Lo si capisce anche quando osserva che “la maschilità del presente e del futuro potrebbe trovare ampio spunto in una figura così difficile da collocare nelle categorie della dominanza e del possesso, uno che dentro la logica del branco strutturata dal patriarcato nascerebbe reietto per essere e restare un maschio beta”. Che dire, “per riconoscere valore a un uomo capace di agire così fuori dagli schemi del sistema normativo dei generi non è possibile a prescindere da una rinnovata specularità dei ruoli, e dunque è indispensabile che vi siano donne disposte a rompere a loro volta quelli già esausti, prima di tutto per se stesse. Per questo forse non è inutile ricordare in questo discorso che, in fondo, a scegliere Giuseppe, a dispetto dei racconti apocrifi, non è stato Dio. E’ stata Maria”. Tutto questo sul mensile dell’Osservatore Romano, organo ufficiale della Santa Sede. Unicuique suum, a ciascuno il suo.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.