(foto LaPresse) 

In Vaticano si punta tutto su Draghi (e non solo per il ddl Zan)

Oltretevere si dà per certo l'ok al provvedimento: l'obiettivo è ottenere ritocchi concreti. Impresa possibile

Matteo Matzuzzi

Il problema è la debolezza estrema della Conferenza episcopale italiana, pressata da un lato da chi la vuole più combattiva e dall'altro da chi la preferisce più dialogante

L’unica divisione che c’è nelle alte sfere ecclesiastiche riguarda il mezzo scelto per protestare con il governo italiano, e cioè la Nota verbale consegnata all’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede. Sul resto, che poi è il merito della questione, oltretevere sono compatti: il ddl Zan, così com’è ora, non va bene.

 

L’ala “dura” della Cei, legata ai tempi delle battaglie pubbliche in nome dei valori non negoziabili, premeva da tempo sui vertici affinché facessero sentire la  voce senza ambiguità o perifrasi accademiche, come accaduto sul tema del fine vita che vide l’irrilevanza totale nel dibattito della Chiesa italiana, salvo qualche dichiarazione pro forma buona per le agenzie di stampa e  convegni serali.

 

L’ala per così dire moderata, più affine ai programmi di Francesco e al suo “sentire pastorale”, avverte invece che una Nota del genere rischia di irrigidire ancora di più la controparte, con la prospettiva di ottenere il contrario di quanto sperato.

 

Possibile, se non fosse che – fanno notare in Segreteria di stato – tutto va letto considerando che ora a Palazzo Chigi c’è Mario Draghi. E’ a lui che ci si rivolge, più che ai partiti pronti a strumentalizzare la vicenda in ottica meramente elettorale. Il premier è l’interlocutore privilegiato, assai apprezzato anche da quanti (e non sono pochi) auspicavano il tramonto della fase “filocinese” del governo italiano, che qualche sostenitore l’aveva trovato anche nella cerchia dei collaboratori papali, ora meno centrali rispetto a qualche mese fa.

 

Quanto detto in Senato da Draghi, mercoledì pomeriggio, non fa che confermare tale convinzione: “Senza entrare nel merito, il nostro è uno stato laico, non confessionale. Il Parlamento è libero di discutere e legiferare e il nostro ordinamento è in grado di dare tutte le garanzie verificare che le nostre leggi rispettino sempre i princìpi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa”. Rispetto per il ruolo delle Camere ma nessuna orgogliosa difesa del disegno di legge. In Vaticano sanno che il sogno del combattivo vescovo di Ventimiglia-Sanremo, mons. Antonio Suetta – “Spero che il ddl venga affossato”, ha detto – è irrealizzabile, tant’è che subito l’Osservatore Romano si è affrettato a chiarire che la richiesta è di apportare migliorativi al testo, non di stracciarlo e cestinarlo.

 

E’ questione di mero realismo, non di connivenza col nemico come diversi aperti sostenitori dell’opposizione aperta e senza sconti al provvedimento in discussione vanno dicendo da tempo. A sanare la frattura sarà il compromesso e in questo senso il pragmatismo di Draghi è considerato essere la garanzia perché alla fine tutti possano dirsi più o meno soddisfatti. Dato per assodato questo, in Vaticano anche mercoledì ci si domandava chi abbia trasmesso al Corriere della Sera la Nota diplomatica, e soprattutto perché l’abbia fatto: c’era la volontà di assestare un altro colpo al pontificato che già non vive il suo miglior momento? Si voleva forse allungare la lista delle defaillances di questo giugno nero? In realtà, è probabile che l’obiettivo fosse quello di mostrare l’estrema debolezza di una Conferenza episcopale italiana ammutolita.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.