Un Papa europeista

Matteo Matzuzzi

L’inusuale discorso pasquale di Francesco è solo l’ultimo di una serie di appelli all’Europa traballante

Roma. Che non fosse una Pasqua come le altre era chiaro e scontato, da tempo. Le chiese vuote, il silenzio, le suppliche e le adorazioni, i rosari e le preghiere di tanti avevano resto manifesto il momento particolare e forse unico che stiamo vivendo. I riti sobri nella basilica vaticana senza turisti intenti e fedeli intenti più a scattare foto che a contemplare il Mistero, hanno suggellato la straordinarietà di questo. Lo si è scritto in abbondanza. 

 

 

E’ stato diverso anche il tono che il Papa ha usato nel consueto messaggio augurale che ha preceduto la solenne benedizione Urbi et Orbi, alla città e al mondo. Un discorso che solo alla fine, quasi in appendice, ha dato spazio alla sofferenza di terre e popoli piagati dalle guerre e dalla fame, che in altri anni era il cuore, il punto centrale del messaggio – anche un po’ ripetitivo – costituito da una panoramica delle crisi sparse qua e là nel mondo.

 

Invece Francesco, anziché guardare alle periferie, Mozambico e Yemen e Venezuela, ha subito rivolto lo sguardo sull’Europa: “Non è questo il tempo degli egoismi, perché la sfida che stiamo affrontando ci accomuna tutti e non fa differenza di persone. Dopo la Seconda guerra mondiale, questo continente è potuto risorgere grazie a un concreto spirito di solidarietà che gli ha consentito di superare le rivalità del passato. E’ quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda. Oggi l’Unione europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni”. Non è questo “il tempo delle divisioni”, ha aggiunto. Subito, un po’ scontato, è partito il gioco all’interpretazione, cercando di capire da quale parte pendesse il placet papale, intravedendo magari nel discorso del Pontefice un appoggio alla battaglia del governo italiano.

 

 

In realtà, se si vanno a riprendere i discorsi di Francesco che avevano a tema l’Europa, si comprende che la critica all’Europa – a questa Europa e ai suoi laici riti – non è per nulla nuova. Ricevendo il Premio Carlo Magno, nel 2016, disse: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”. Al Parlamento europeo, due anni prima, aveva detto che “da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza e di invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni. A ciò si associano alcuni stili di vita un po’ egoisti, caratterizzati da un’opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico”. Insomma, nell’appello del Papa all’Urbi et Orbi pasquale non v’è altro che la reiterazione di un appello lanciato agli albori del pontificato e rimasto inascoltato. Non c’è nulla di diverso, se non le scelte lessicali e lo stile, da quanto già avvertivano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Un appello rilanciato ora perché è ora, con la pandemia che tutto ha arrestato, che il rischio del disfacimento del progetto europeo appare non essere più solo uno scenario elaborato da qualche centro studi o il manifesto elettorale di uno dei tanti partiti sovranisti e nazionalisti che si sentono appagati nel vedere la bandiera europea stracciata – darla alle fiamme, come s’è appurato, non si può, essendo ignifuga. Il Papa mette sul chi va là e lo fa nell’occasione più solenne. Spetta ad altri raccogliere il messaggio.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.