Wilton Gregory (foto LaPresse)

Afroamericano, âgé e molto liberal. Chi è il nuovo arcivescovo di Washington

Matteo Matzuzzi

Scelto monsignor Wilton Gregory. Altro colpo ai conservatori

Roma. Mons. Wilton Gregory, 71 anni, è stato nominato dal Papa nuovo arcivescovo di Washington. La notizia, che circolava da giorni sui media d’oltreoceano, è stata confermata puntualmente alle 12, ora di Roma. Sostituisce il chiacchierato Donald Wuerl, sul quale è caduta la scure del Gran Giurì della Pennsylvania, che la scorsa estate aveva criticato il modo in cui aveva gestito vari casi di presunti abusi su minori avvenuti negli anni cui era vescovo di Pittsburg. Contestualmente alla nomina di Gregory, il Vaticano diffondeva un comunicato della Congregazione per la dottrina della fede in cui si rendeva noto che l’ex arcivescovo di Guam, mons. Anthony Sablan Apuron, è stato condannato anche in appello per delitti contro il Sesto comandamento con minori.

 

Wuer, a Washington, era in proroga da due anni e ha potuto contare sulla vicinanza di Francesco anche quando dai banchi delle chiese dove si recava a celebrare messa gli urlavano “vergogna”, interrompendo le omelie. Ha tanto da dire, la scelta di mons. Gregory. E’ afroamericano – non è casuale che la nomina sia stata ufficializzata nel giorno dell’anniversario dell’assassinio di Martin Luther King – ed è anziano, considerato che per la chiesa si va in pensione a 75 anni. Un episcopato breve, dunque, che fa pensare alla decisione di far decantare la situazione prima di compiere scelte più stabili e definitive. Però mons. Gregory non è un parvenu della chiesa americana. E’ stato presidente della Conferenza episcopale dal 2001 al 2004 ed è considerato uno dei presuli più liberal della variegata compagine statunitense. Per dieci anni, dal 1983 al 1993, è stato ausiliare a Chicago del cardinale Joseph Bernardin, per decenni leader indiscusso dell’ala progressista americana. Nel 2002, mentre infuriava la bufera sulla Boston di Bernard Law, travolta dagli scandali sui preti pedofili spostati da una parrocchia all’altra, Gregory fu tra i principali sostenitori dell’adozione della Carta di Dallas per la tutela dei minori.

 

Nel 2004 si oppose alla direttiva della Congregazione per la dottrina della fede guidata dal cardinale Joseph Ratzinger che chiedeva di negare l’eucaristia ai politici impegnati in campagne attive pro aborto, riuscendo a portare dalla sua parte la netta maggioranza dei vescovi locali. In anni più recenti, in qualità di arcivescovo di Atlanta, è stato uno dei più convinti aderenti alla linea pastorale di Papa Francesco: attenzione massima alle problematiche ambientali e climatiche e all’accoglienza delle persone omosessuali. Fu lui a chiedere al gesuita James Martin di tenere una conferenza dal titolo “Mostrare accoglienza e rispetto nelle nostre parrocchie ai cattolici lgbt”. Non a caso, ufficializzata la nomina, Martin l’ha definita “splendida”, rilevando come il nuovo arcivescovo della capitale americana sia “un amministratore esperto, un leader nella lotta contro gli abusi sessuali del clero e un pastore compassionevole”. Senza dimenticare che “è desideroso di raggiungere le popolazioni emarginate”. Anche in virtù di tali considerazioni la galassia conservatrice non ha lesinato quanto a sconcerto, mettendo in fila l’una dopo l’altra le posizioni molto liberal di mons. Gregory su tutte quelle tematiche che hanno cementato le culture war degli anni scorsi.

 

E’ un segnale netto – l’ennesimo dal 2013 in poi – lanciato alla Conferenza episcopale americana ancora (ma non più come lo era fino a qualche tempo fa) di solido stampo wojtyliano-ratzingeriano. A più di sei anni dall’inizio del pontificato, mentre l’agenda bergogliana stenta a radicarsi nel tessuto episcopale statunitense, ecco che da Roma arriva un’altra sferzata: per la cattedra più prestigiosa del paese – l’arcivescovo di Washington è una sorta di cappellano della Casa Bianca – si va a pescare nel passato, nell’èra precedente al conservatorismo muscolare di Francis George proseguita poi con i Dolan, i Kurz, i DiNardo. Senza dimenticare i Chaput e i Gómez, titolari di sedi prestigiose (Philadelphia e Los Angeles) e tradizionalmente cardinalizie che la berretta rossa, con Bergoglio Papa, non l’hanno ottenuta. Berretta che invece è andata a Blase Cupich e Joseph Tobin, solidi attuatori dell’agenda di Francesco. Mons. Gregory assumerà ora una voce di notevole peso all’interno della Conferenza episcopale, capace di dare sostegno a Cupich, l’arcivescovo di Chicago molto vicino al Papa che però risulta da sempre isolato dalla maggioranza conservatrice dei confratelli vescovi. Avere dalla sua parte l’arcivescovo di Washington, cambia – e di non poco – le carte in tavola.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.