Il carcere di San Vittore (foto LaPresse)

Il Pd e la riforma dell'ordinamento penitenziario

Massimo Bordin

Un atto politico qualificante che costruirebbe un caposaldo sui terreni della politica sulla giustizia e della legalità costituzionale

Se oggi davvero il consiglio dei ministri approverà le norme attuative della riforma dell’ordinamento penitenziario sarà, da parte del Partito democratico, un atto politico di maggiore rilevanza rispetto a qualsiasi intervista a tutta pagina di qualche capo corrente o a qualsiasi dichiarazione su alleanze o presidenze. Un atto politico qualificante perché costruirebbe un caposaldo sui terreni della politica sulla giustizia e della legalità costituzionale. Soprattutto mostrerebbe la capacità di operare scelte coraggiose rispetto alla pulsioni forcaiole, alimentate dalla peggiore politica e dalla peggiore informazione, e attenzione a quanto di progressivo si muove nella società. Sarebbe anche però, e forse soprattutto, una vittoria del partito radicale che ha scelto questa battaglia, rispetto a quella elettorale, con le iniziative non violente di Rita Bernardini insieme a migliaia di detenuti. Se davvero la riforma andasse in porto, un effetto collaterale potrebbe essere l’opportunità di trovare la spiegazione più efficace delle differenze e divisioni che hanno caratterizzato i radicali dopo la morte di Marco Pannella.