Il caso Consip, Scafarto, Sessa e il buon senso delle accuse

Massimo Bordin

Il telefonino del capitano del Noe parla chiaro. Nessuna possibilità, se mai ci sia stata, c’è più per sostenere la tesi dell’errore

“Almeno per il momento”. Così si concludeva ieri questa rubrica. Si trattava della impossibilità di mettere in relazione la grave ipotesi di reato, depistaggio, contestata al vicecomandante del Noe colonnello Sessa, con la diversa imputazione prospettata per il capitano Scafarto, indagato per falso. Oggi forse quel momento è passato. Il telefonino del capitano parla chiaro. Nessuna possibilità, se mai ci sia stata, c’è più per sostenere la tesi dell’errore. Scafarto sapeva benissimo chi, nell’intercettazione fra Romeo e Bocchino, aveva fatto il nome di Renzi eppure nel suo rapporto ha scritto il falso, non per un lapsus ma più verosimilmente per orientare l’indagine stravolgendo gli indizi. È vero che i pm romani devono prospettare le imputazioni sulla base della procedura delle loro acquisizioni, ma è ragionevolmente difficile non vedere nel comportamento del capitano Scafarto, per come appare incontrovertibilmente confrontando i suoi messaggi con i suoi rapporti scritti, l’agire di un depistatore. Accusa dalla quale ha naturalmente tutto il diritto di difendersi, fino a mostrarne l’infondatezza, anche se “non me lo so spiegare” non pare la difesa più incisiva. A questo punto, in ogni caso, la differenza nell’ipotesi accusatoria fra colonnello e capitano, anche se legata a due diversi momenti dell’indagine, urta il buon senso.

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