Perquisizione nella sede della Consip (foto LaPresse)

Perché non si può parlare di "depistaggio" nel caso Consip

Massimo Bordin

Occorre fare mente locale sul fatto che il reato di depistaggio è uno di quei reati nuovi e ancora poco usati. In procura a Roma però, come si sa, sono innovatori

Il problema sta nelle parole, più che mai quando raffigurano fattispecie – parola veramente orribile – di reato. Il termine “depistaggio” può facilmente indurre in errore, dunque è il caso di invitare a una maggiore prudenza quelli che, indignati, solidarizzano con il segretario del Pd in quanto vittima di un depistaggio acclarato dell’inchiesta Consip. Non è proprio così. Può essere che così finisca, si può pensare che proprio questo sia effettivamente successo, ma il provvedimento della procura di Roma nei confronti del colonnello Alessandro Sessa non vuol dire necessariamente questo. Occorre fare mente locale sul fatto che il reato di depistaggio è uno di quei reati nuovi e ancora poco usati. In procura a Roma però, come si sa, sono innovatori e devono avere considerato che il reato ipotizzabile per il numero due del Noe avrebbe potuto essere quello classico di “false informazioni al pm” ma, poiché il colonnello Sessa era stato sentito nella veste di ufficiale di polizia giudiziaria, poteva piuttosto essere contestato il reato di depistaggio. L’oggetto della contestazione resta lo stesso ovvero avere postdatato la data della sua comunicazione sull’indagine Consip al comandante del Noe. L’obiettivo che si propone la procura è ricostruire i passaggi che hanno portato alla fuga di notizie sull’inchiesta. Non che questa iniziativa della procura romana sul colonnello Sessa aggravi automaticamente la posizione di Renzi sr., come pretende l’incontentabile Travaglio, ma non è nemmeno collegabile alle accuse di falso nei confronti del capitano Scafarto. Almeno per il momento.

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