Il Texas, l'aborto e i confini della vita

Gli estremismi contrapposti che i pro life devono combattere per difendere il vero diritto di scelta

Abbiamo deciso di cancellare il modello Juno, abbiamo deciso di archiviare la chiave della leggerezza e abbiamo deciso improvvisamente di consegnare tutto il dibattito sulla nuova vita, il dibattito sul diritto ad abortire, il dibattito relativo al dovere di avere anche un’altra scelta, perché essere pro choice non può significare essere solo a favore di una scelta, a due estremismi contrapposti. Due estremismi che ormai da tempo sembrano avere tutta l’intenzione di risolvere ogni contesa tra pro life e pro choice nella forma peggiore possibile: aggredendo i diritti altrui.

La notizia arrivata dal Texas nella giornata di martedì – dove una legge, non sospesa il giorno dopo dalla Corte suprema, ha stabilito il divieto di abortire dopo sei settimane di gravidanza anche in caso di stupro o incesto introducendo su questo terreno la restrizione più severa di tutti gli Stati Uniti – è una notizia che colpisce perché indica una direzione molto pericolosa per i sostenitori delle battaglie pro life. E la direzione è questa: incentivare la difesa della vita scommettendo forte non su una robusta politica dell’accoglienza della maternità ma sulla limitazione dei diritti per le donne che si ritrovano a scegliere cosa fare con la vita nel loro grembo.

Spingere sulle battaglie pro life puntando sulla limitazione dei diritti, come è successo in Texas, significa scegliere di giocare su un terreno scivoloso all’interno del quale si perde di vista quello che dovrebbe essere il fulcro di una vera battaglia pro life. Non ridurre lo spazio di scelta delle donne. Ma al contrario offrire più strumenti, più sostegni, più aiuti per tutte coloro che sono convinte che in caso di dubbio l’unica scelta sia quella di non avere scelta. La notizia che arriva dal Texas – condannata da Joe Biden – non è una notizia isolata ma rientra all’interno di un complesso percorso americano. Un percorso che negli ultimi mesi ha visto diversi stati approvare leggi restrittive sul tema dell’aborto. Lo hanno fatto, prima del Texas stati come Mississippi, Georgia, Iowa, Alabama, Kentucky, Indiana, Louisiana. E lo hanno fatto spesso governatori convinti della bontà di una tesi: per provare a ribaltare in modo definitivo la Roe vs Wade del 1973 occorre sollevare un numero indefinito di controversie giuridiche a livello nazionale per portare la Corte a ridiscutere quella decisione.

La Roe vs Wade, come è noto, è la decisione in seguito alla quale la Corte suprema ha riconosciuto, con qualche limite, il diritto all’aborto non oltre la 24esima settimana, un tempo infinitamente più lungo rispetto ai novanta giorni previsti in Italia dalla legge 194, e all’interno di questa battaglia gli estremismi emersi non sono solo quelli che arrivano dal fronte pro life ma sono anche quelli che arrivano dal fronte pro choice.

Un esempio su tutti è il caso del South Dakota, dove a metà agosto un giudice federale ha abolito una legge che imponeva alle donne di ottenere una consulenza sulle alternative all’aborto prima di procedere con l’interruzione di gravidanza. Su questo caso, purtroppo, l’attenzione mediatica e politica non è stata simile a quella dedicata al caso del Texas. Ma in fondo la decisione del South Dakota nasce da un estremismo speculare: combattere i pro life provando a togliere altri diritti alle donne. Il primo diritto, il diritto di abortire, è un diritto che conta infiniti difensori. Il secondo diritto, il diritto di avere una scelta, il diritto di essere informato sulle altre scelte, il diritto di poter fare in caso di dubbio la stessa scelta fatta in “Juno” da Elliot Page, la protagonista del famoso film di Jason Reitman che pur in giovane età ha scelto di non abortire dopo essere entrata in una clinica per abortire, è un diritto che non conta molti difensori. Le vere battaglie pro life oggi più che dalla rimozione dei diritti dovrebbero partire da qui: dalla capacità di promuovere politiche finalizzate ad aiutare le donne a ragionare sul fatto che non sempre l’unica scelta è quella di non avere scelta.

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