Gli Stati Uniti non recupereranno la propria egemonia perduta

Francis Fukuyama racconta un paese polarizzato, spezzato al suo interno, ma che dopo Kabul può aspirare a qualcosa di positivo scrive l’Economist

Le immagini orribili degli afghani disperati che cercano di scappare da Kabul questa settimana dopo la caduta del governo appoggiato dagli americani sono una grande congiuntura nella storia mondiale, dato che l’America ha voltato le spalle al mondo. La verità è che la fine dell’era americana era arrivata molto prima”, scrive il politologo americano Francis Fukuyama sull’Economist.

 

“Le cause strutturali della debolezza e del declino americano sono di natura domestica più che internazionale. Il paese resterà una grande potenza negli anni a venire, ma la sua influenza dipenderà dall’abilità di sistemare i problemi interni, piuttosto che dalla politica estera. Il picco dell’egemomia americana è durato meno di vent’anni, dalla caduta del Muro di Berlino alla crisi finanziaria del 2007-2009. All’epoca il paese era dominante in molte aree: militare, economica, politica e culturale. Il punto più alto dell’hubris americana è stato l’invasione dell’Iraq nel 2003, quando sperava di cambiare non solo l’Afghanistan (invasa due anni prima) e l’Iraq, ma tutto il medio oriente (…). Il grado di unipolarismo che si è manifestato in questo periodo è una rarità storica, e il mondo è tornato a un sistema multipolare dominato da Cina, Russia, India ed Europa negli anni successivi”. Secondo Fukuyama, i fatti in Afghanistan avranno un effetto geopolitico trascurabile, dato che gli ostacoli maggiori al dominio americano nel mondo sono di natura domestica. “La società americana è molto polarizzata, e trova difficile raggiungere coesione su qualunque tema. La polarizzazione ha inizialmente coinvolto degli argomenti politici tradizionali come le tasse e l’aborto, ma si è metastizzata in un’amara guerra culturale (…) Normalmente una grande minaccia esterna come la pandemia dovrebbe essere l’occasione per riunire i cittadini attorno a una risposta comune: al contrario, il Covid-19 ha esacerbato le divisioni americane, e il distanziamento sociale, l’uso delle mascherine e ora le vaccinazioni sono state viste non come misure per garantire la salute pubblica ma come bandiere politiche”.

 

Questo conflitto è onnipresente: si manifesta nello sport, e determina i prodotti acquistati dai consumatori democratici e repubblicani. Gli americani vivono in realtà parallele: hanno una visione diversa della propria storia, e credono in teorie diametralmente opposte sull’esito delle elezioni del 2020. Secondo il politologo, la polarizzazione ha coinvolto anche la politica estera. Nella Guerra fredda e fino ai primi anni 2000, l’élite americana era favorevole a mantenere una posizione dominante nel mondo, ma le guerre apparentemente interminabili in medio oriente hanno stancato molti americani. “Durante gli anni di Obama, i repubblicani hanno assunto una posizione oltranzista e criticato i democratici per il ‘reset’ e la presunta ingenuità nei confronti del presidente Putin. Trump ha rovesciato lo schema aprendo pubblicamente a Putin, e oggi circa metà dei repubblicani crede che i democratici rappresentino una minaccia allo stile di vita americano maggiore rispetto alla Russia (…) Apparentemente c’è molta più convergenza nei confronti della Cina: sia i repubblicani che i democratici la considerano una minaccia ai valori democratici. Se dovesse essere aggredito dalla Cina, Taiwan sarà un test molto più impegnativo dell’Afghanistan per la politica estera americana. Washington sarà disposta a sacrificare i propri figli e nipoti per garantire l’indipendenza dell’isola? E rischierà un conflitto militare con la Russia se dovesse invadere l’Ucraina?

 

La polarizzazione ha già danneggiato l’influenza globale dell’America, e svilito il “soft power” di Washington. Secondo Fukuyama, è difficile sostenere che le istituzioni americane abbiano funzionato bene negli ultimi anni, o consigliare a un paese di imitare il tribalismo politico e le disfunzioni degli Stati Uniti. Nonostante il ritiro sia stato effettuato in modo maldestro, la scelta di abbandonare l’Afghanistan potrebbe rivelarsi giusta nel lungo termine. Biden spera di potersi concentrare sullo scontro con la Cina; ciò non era stato possibile per Obama, costretto a impiegare uomini e risorse nelle controguerriglie in medio oriente. “Probabilmente gli Stati Uniti non riconquisteranno uno status egemonico, e non dovrebbero aspirare a farlo – conclude Fukuyama –. Possono sperare di sostenere, assieme ad altri paesi alleati, un mondo ben disposto verso i valori democratici. La riuscita o meno di questo non dipenderà dalle azioni a breve termine a Kabul, ma dal ritrovamento di un senso di scopo e di identità nazionale in patria”.

 

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