I bambini come Alfie Evans non si salvano con un diritto debole ma con il diritto alla vita

Elisa Grimi

Appunti sulla riflessione proposta da Davide Prosperi e Andrea Simoncini pubblicata dal Foglio lo scorso 23 maggio

Caro Direttore,

mi ha molto sorpreso la riflessione proposta da Davide Prosperi e Andrea Simoncini “La legge non è la verità” pubblicata lo scorso 23 maggio, cui ha fatto seguito la risposta condivisibile dell'avv. Giuseppe Zola su tempi.it, in merito a quanto accaduto ad Alfie Evans.

 

Se è vero infatti che la vita di questo bambino ha mosso i cuori e le coscienze di molte persone, dall'altra parte stride leggere che il senso di ingiustizia assale quando si vede il confine “privato” del soggetto violato dalla giurisprudenza locale.

 

Si legge: “Con Alfie Evans tutti abbiamo avuto la sensazione che i giudici, l'apparato giudiziario e l'autorità pubblica si siano spinti troppo in là, invadendo una zona che non dovrebbe essere terreno di “controversia”, ma di “aiuto e compassione”. Per questo, prima ancora di entrare nel merito dei termini tecnici del problema, poco o tanto abbiamo avvertito un senso di ingiustizia”.

 

Ora stando al giudizio degli autori, la lotta di Alfie tra la vita e la morte avrebbe una “durata”, così come è concepita da Bergson. A detta del filosofo francese – e forse quella degli autori non è poi così una svista – la “durata” è una caratteristica della coscienza, è una sorta di intuizione psicologica, una serie di momenti propri della coscienza personale che superano la semplice narrazione dello scorrere delle lancette, insomma un processo di organizzazione e mutua penetrazione della mente.

 

Il senso di ingiustizia non assale nel vedere l'ago della bilancia pendere tutto dalla parte dei giudici – seppur certamente una logica giustizialista sia da respingere –, o viceversa, tutto dalla parte dei genitori (possono darsi anche genitori “folli” che non vogliono il bene del loro figlio o altri che credono di volerlo ma in realtà vanno nella direzione opposta), ma innanzitutto nel vedere smarrito l'ordo naturalis, concretizzatosi nello specifico nel vedere respinti gli urgenti appelli alla Corte Europea dei Diritti Umani da parte di Kate e Thomas Evans. Questo stride.

 

Vedere non rispettato l'articolo 2 del “Diritto alla vita” della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che recita nel suo inizio: “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita”, oltre all'articolo 5 “Diritto alla libertà e alla sicurezza” il cui rispetto avrebbe consentito il trasferimento del piccolo in un altro ospedale. È qui che assale il senso di ingiustizia. Perché la giustizia poiché è affare privato, è altresì affare della sfera pubblica. L'ordo supernaturalis è una aggiunta, e lo afferma anche Benedetto XVI nel recente scritto sinora rimasto inedito: “Far valere ciò che è autenticamente umano dove non è possibile affermare la pretesa della fede, in sé è una posizione giusta” (Liberare la libertà, pag. 14). Questa è la premessa di una fede libera, e perciò di fatto autentica.

 

Pertanto non è questione di trovare un mediatore tra le parti. Ciò che allibisce invece è assistere inermi al “no” della sentenza di Strasburgo, come a dire che la sovranità nazionale la fa sempre da padrone, anche se va contro a ciò che è umano. Perché è disumano che in un ospedale dei genitori siano allontanati dal proprio figlio, perché è disumano quanto eroico procedere con una respirazione bocca a bocca per una notte per mantenerlo in vita.

Quello che è promosso dagli autori è un diritto debole, un po' desolante.

 

È il riconoscimento di un bene oggettivo che commuove, che porta a muoversi e dunque a con-patire. Riconoscendo e rispettando certo tutta la delicatezza e la difficoltà del caso clinico. Facendo tutto il possibile nel rispetto della vita e della parte più delicata della vita, la sua fine. Perché la fine è un fine - buffa parola italiana. Altrimenti non si potrebbe avere neppure la certezza delle braccia che oggi custodiscono quell'eroe.

 

Elisa Grimi

Executive Director of the ESMP (European Society for Moral Philosophy)

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