Lo striscione dei tifosi della Lazio su Alfie Evans (foto LaPresse)

Su Alfie Evans gli ultrà sono stati più umani dei cosiddetti liberali

Piero Vietti

Il papà del bambino inglese morto dopo una sentenza è stato premiato dal presidente dell'Everton, squadra per cui fa il tifo. La raccolta fondi dei tifosi e l'aiuto della società: "Quando l'abbiamo saputo ci si è spezzato il cuore"

Il giorno in cui Alfie Evans è morto, ucciso dalla burocrazia eutanasica del sistema sanitario inglese, che non ha voluto sentire le ragioni di chi – a partire dai suoi genitori – chiedeva la possibilità di portarlo là dove altri medici e infermieri potessero prendersi cura di lui, l'account ufficiale dell'Everton FC lo ha salutato così: “Riposa in pace Alfie Evans. Tutti nel club sono profondamente addolorati dalla perdita di un coraggioso evertoniano. I nostri pensieri e le nostre preghiere per la sua famiglia”. Se si cercano tracce di umanità nel disperato mondo contemporaneo è più facile trovarle in uno stadio che in un tribunale, in un ultrà che in un liberale.

 

 

Tom Evans, il giovane papà di Alfie, è tifoso dell'Everton, la squadra meno blasonata di Liverpool, ma non per questo meno grande. Nei giorni in cui lui e la moglie chiedevano alle Corti inglesi di poter mettere il proprio figlio nelle mani di qualcuno meno cinico del personale dell'Alder Hey Hospital, i tifosi dei Toffees avevano raccolto 10.000 sterline per pagare le spese legali della famiglia Evans. Il contributo decisivo a raggiungere la cifra necessaria per continuare a far sentire le proprie ragioni in tribunale lo aveva dato Bill Kenwright, il presidente del club. Kenwright non si è limitato a questo, però: mentre i tuttologi dei social network paragonavano i genitori di Alfie agli antivaccinisti e i medici del Bambino Gesù a Vannoni di Stamina – e i tanti liberali e liberisti italiani tifavano improvvisamente per la superiorità dello stato sulla libertà dell'individuo – l'Everton ha deciso di invitare Thomas Evans alla cena di fine anno di squadra e società, assegnandogli il premio “Blueblood”, riconoscimento che tutti gli anni il presidente dà a chi secondo lui “incarna lo spirito evertoniano”.

 

Tom è salito sul palco commosso – era la prima uscita pubblica dopo la morte di Alfie – ha ringraziato il presidente (“È il nonno che non ho mai avuto”, ha detto), e in un discorso emozionato ha raccontato il suo sogno di tifoso bambino, diventare un eroe di Goodison Park come Wayne Rooney. “Guardavo i suoi gol in camera da letto con mio fratello e sognavo di diventare come lui. Quando ho capito che non ce l'avrei fatta ed è nato Alfie, ho sperato che potesse farlo lui”. Tom ha raccontato che tante volte aveva immaginato di portare suo figlio allo stadio, urlare con lui tifando per i Toffees fino a perdere la voce, “e tornare a casa con il mal di gola”. Il presidente. Kenwright ha quindi detto di avere conosciuto Tom diversi mesi fa dopo una partita, e di come sia rimasto colpito dalla sua storia e dalla sua dignità.

 

“Fammi sapere come posso aiutarti”, ha detto più volte a Tom il presidente. Tom ha chiesto soltanto che il suo nome e quello del figlio fossero legati in qualche modo per sempre ai colori della loro squadra del cuore. “Prima della partita contro l'Huddersfield abbiamo saputo della morte di Alfie”, ha detto Kenwright, “e i nostri cuori si sono spezzati”. Davanti all'ospedale sono stati fatti volare palloncini dei colori dell'Everton, e in centinaia hanno cantato “You'll never walk alone”, l'inno storico dei rivali del Liverpool Fc, uniti nel dolore ai cugini evertoniani. Nelle stesse ore editorialisti ed esperti si affrettavano a spiegare che quella di Alfie non era una vita, che lo stato aveva fatto bene a staccargli i supporti vitali; per non parlare delle pelose distinzioni che opinionisti cattolici e sacerdoti pubblicavano su blog e quotidiani straparlando di accanimento terapeutico, morte dignitosa, chiedendo rispetto per medici e tribunali che avevano sentenziato la fine della “futile” vita di quel bambino. Dottori, teorici del liberalismo, filosofi, teologi e giuristi hanno avuto difficoltà a guardare Alfie per quello che era. Sono dovuti arrivare quei buzzurri degli ultrà a dire come stavano le cose: Alfie è un bambino che ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui. Lunga vita ai tifosi di calcio. E alle squadre come l'Everton.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.