Donna incinta (Foto Lapresse)

La Cina ha una bioetica tutta sua quando si tratta di embrioni & Co.

Giulia Pompili

La nascita di un bambino quattro anni dopo la morte dei genitori

Roma. Un bambino è nato quattro anni dopo la morte dei suoi genitori biologici, titolava un paio di giorni fa il South China Morning Post, riprendendo una storia del Beijing Times con tanto di fotografie familiari e sorrisi. Ma il modo in cui il piccolo Tiantian è venuto al mondo, nel dicembre scorso da una madre surrogata in Laos, rappresenta un altro passo della Cina verso l’allentamento di certe regole in fatto di scienza e bioetica. Shen Jie e sua moglie Liu Xi nel 2013 si erano rivolti all’ospedale di Nanjing per procedere con un trattamento per la fertilità, e avevano consegnato agli scienziati quattro embrioni fecondati. Cinque giorni prima dell’impianto nell’utero di Liu Xi, la coppia è deceduta in un incidente stradale. I quattro genitori della coppia hanno deciso allora di rivolgersi a un tribunale per chiedere di avere libero accesso all’utilizzo degli embrioni. Nella prima sentenza, fornita dal tribunale di Yixing, i giudici hanno deciso che nessuno aveva quel diritto, perché “un embrione ha la possibilità di trasformarsi in una vita, e quindi la sua proprietà non può essere trasferita come un oggetto”. Qualche tempo dopo si sono rivolti al tribunale di Wuxi, 90 chilometri da Yixing, e qui il giudice ha dato loro ragione: “Gli embrioni lasciati da Shen e Liu”, essendo loro entrambi figli unici, “sono gli unici portatori delle linee di sangue delle due famiglie, portano con sé il ricordo dei loro genitori, e possono offrire loro una consolazione emotiva”.

 

Ottenuto il diritto di utilizzo, il problema era il trasferimento: gli embrioni possono essere spostati solo da una struttura sanitaria all’altra. Ma non in un ospedale cinese, perché in Cina la maternità surrogata è vietata da un decreto del ministero della Salute del 2001. Due anni fa, attraverso un’agenzia, i quattro nonni hanno trovato un istituto in Laos – subito prima che anche il Laos decidesse di mettere al bando la maternità surrogata “per scopi commerciali” – e una donna laotiana che ha condotto la gestazione e che poi è stata fatta arrivare in Cina per il parto. Da tempo in Cina si parla di una nuova regolamentazione sia della conservazione degli embrioni sia della “gestazione per altri”. Perché, nonostante la legge, il business è molto attivo: una delle agenzie più popolari di Shanghai, la AA69, dal 2004 a oggi avrebbe fatto nascere 10 mila bambini, per l’equivalente di 145 mila dollari a figlio. Ma il problema etico è soprattutto legato alla conservazione di ovociti o di embrioni fecondati e al loro utilizzo. Già nel 2016, sempre in Cina, una donna di 46 anni aveva dato alla luce un bambino con embrioni che aveva congelato 18 anni prima – un record, visto che di solito gli embrioni vengono conservati per circa 5 anni.

 

Alcuni di quegli embrioni fecondati, ma non utilizzabili per la fecondazione in vitro per via della sequenza dei cromosomi, sono poi spesso “donati” alla scienza: è così che nel 2015 il team di scienziati della Sun Yat-Sen University di Canton, nella provincia del Guangdong, hanno detto di aver utilizzato per la prima volta il Dna di un embrione umano con la tecnica Crispr-Cas9, aprendo la strada a un dibattito bioetico globale. Poco tempo dopo il team della Guangzhou Medical University ha ufficializzato le sue ricerche su embrioni non adatti alla fecondazione per studiare possibili cure contro l’Hiv e il cancro.

 

La modifica del Dna degli embrioni, gli studi sulle cellule riproduttive in Cina, hanno reso il paese leader nella cosiddetta biotecnica. Un lunghissimo reportage pubblicato ieri dal Financial Times spiegava che in Cina ci sono 116 trial clinici registrati per la ricerca della terapia Car-T, una tecnica di ingegneria cellulare che in pratica dovrebbe rinforzare le cellule buone contro quelle cattive, e tutto il sistema immunitario. In Europa i trial clinici registrati sono 15. Sembra che stia funzionando bene per il mieloma e altre malattie trattabili, fino a oggi, solo con la chemioterapia. Ma il mondo scientifico è diviso: nei suoi studi, la Cina non sembra avere gli stessi parametri della scienza occidentale. La tecnica in sperimentazione è comunque consigliata quando è stato provato già tutto per le cure. E in almeno due studi sulla Car-T, i cinesi hanno usato la Crisp, che invece nel resto del mondo è vietata.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.