foto LaPresse

Non esiste il pazzo isolato

Antonio Gurrado

Dal terrorismo islamico a quello neonazista, l'attentatore è comunque la spia incontrollata di ossessioni e fobie che agitano i flutti profondi della società

Ma esiste davvero il pazzo isolato? Subodoro che nel dibattito successivo alla sparatoria di Halle si siano invertite le parti estreme: chi in caso di attentato di matrice islamica argomentava che il colpevole fosse un singolo squilibrato oggi denuncia che Balliet è la punta di un iceberg neonazista; mentre chi vedeva il Califfato dietro qualsiasi musulmano armato di tronchesino oggi bofonchia che Balliet è un malato di mente non indicativo. Sbagliano tutti.

 

Entrambe queste posizioni presuppongono che la follia si esaurisca nell’atto sanguinario compiuto da cane sciolto; ignorando che di certo bisogna essere pazzi per scegliere di entrare in sinagoga e sparare o lanciarsi con un camion sui passanti, ma di una pazzia organica, che trova il proprio metodo nella permeabilità sociale. Non solo nel senso di proclami condivisi sui social o istruzioni scaricate da internet; dico proprio nel senso in cui ciascuno di noi, pazzo o equilibrato, è frutto di condizioni sociali, economiche, culturali, politiche che lo circondano e lo condizionano (ma non lo determinano, non lo obbligano ad agire, gli lasciano sempre libertà di scelta). Il pazzo isolato, visto così, non esiste: che spari agli ebrei o falci gli infedeli o compia atti terribili che nemmeno voglio citare, è comunque la spia incontrollata di ossessioni e fobie che agitano i flutti profondi della società. La responsabilità è sempre individuale, la mentalità non lo è mai. Credere che un pazzo sia isolato è un tentativo di rassicurarsi, riducendo l’abisso dell’umanità alla sua superficie calma e presentabile.

Di più su questi argomenti: