Gabriele D'Annunzio (foto LaPresse)

Scrittori d'Italia, emulate d'Annunzio

Antonio Gurrado

In una lettera a Mussolini l'odio del Vate per l'aggettivo dannunziano 

Scrittori d'Italia, emulate d'Annunzio! Però leggete qui, prima di correre a bendarvi un occhio o a posare nudi in spiaggia o a infilarvi una nave in casa o a conquistare, che so, Mentone. Dalle anticipazioni del prossimo libro di Giordano Bruno Guerri (“Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione: Fiume 1919-1920”, Mondadori) spicca una lettera in cui il Vate rimbrotta Mussolini: “Io non voglio essere aggettivato. Il nome dannunziano mi era già odioso nella letteratura, odiosissimo nella politica”. Aveva ragione, anche etimologicamente poiché il sostantivo è ciò che è dotato di sostanza ovvero sta su da solo, senza sostegni, mentre l'aggettivo è ciò che ha bisogno di appoggiarsi a qualcosa d'altro. Scrittori d'Italia, non lasciatevi aggettivare! Possa Saviano non essere mai savianesco, Camilleri non camilleriano, Scurati non scuratese e Pif non pifferaio! Nel momento in cui venite insigniti del ruolo di aggettivo, non dovete andarne fieri perché anche la critica più benevola e lecchina vi sta dicendo che non ce la fate più, che per stare in piedi i vostri libri devono reggersi al manierismo, ovvero al modo in cui il pubblico si aspetta che scriviate. Allora tanto vale che i vostri libri se li scriva da solo, il pubblico.

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