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L'impresa fiumana del Milan è uno schiaffo pure a D'Annunzio

Giovanni Battistuzzi

Nell'ultima partita del girone di Europa League i rossoneri perdono contro il Rijeka una partita ininfluente per le sorti europee. Il problema non è la sconfitta, è l'assenza di spirito combattivo

Roma. Una cosa i tifosi rossoneri chiedevano al Milan nell'inutile trasferta di Europa League a Fiume dopo il pareggio beffa di Benevento: dimostrare quantomeno di avere spirito combattivo. Una cosa ha dimostrato l'undici di Gattuso: di non averlo, o quantomeno di non averlo portato in campo. E così la sconfitta per 2-0 contro il Rijeka ha dimostrato come il Milan sia una squadra in balia del malumore, incapace di provare un minimo di amor proprio. In Croazia tutto era già deciso: la qualificazione al primo turno a eliminazione diretta era già conquistata, così come il primo posto nel girone. Però dopo l'esonero di Vincenzo Montella, la quasi certezza di aver sbagliato tutto o quasi nel mercato estivo, i problemi con l'Uefa con la (forse) bocciatura del voluntary agreement (ossia la richiesta di un’apertura di credito e, quindi, una moratoria su sanzioni/limitazioni) la gestione economica richiesto dalla dirigenza e l'operazione nostalgia che ha portato  in panchina Rino Gattuso per dare una smossa all'ambiente, qualcosa di più di una squadra molle, incapace di costruire una minima idea di gioco, c'era da aspettarsela.

 

E invece niente. Alle spalle di Marco Storari, portiere d'esperienza e di riserva, la rete si è gonfiata due volte. E davanti all'estremo difensore nulla di buono s'è intravisto, nemmeno da chi ha giocato poco e qualcosa avrebbe voluto e potuto dimostrare.

 

 

Gattuso, anima e polmoni di quel bel Milan che fu all'epoca del Carletto (Ancelotti) rossonero, sembrava sul ponte di comando di una scialuppa alla deriva, infarcita di marinai stanchi, spossati e abbandonati a un destino barbino. Ha provato a sbracciarsi Rino, ha provato a suonare la carica, ma a nulla è servito. I croati sbucavano da ogni parte. Vincenti. Proprio lì dove Gabriele D'Annunzio si era ribellato agli ordini dei generali del Regio esercito ed era avanzato sino a Fiume, proclamandone l'annessione all'Italia. "Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione... Io soldato, io volontario, io mutilato di guerra, credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d'Italia proclamando l'annessione di Fiume".

 

Che Gattuso non sia D'Annunzio è chiaro, che una partita non sia un'avanzata armi in pugno lo è altrettanto, che Rijeka non sia italiana è storia, ma che il Milan si faccia prendere a pallonate in faccia da una squadra organizzata e tignosa, ma, almeno per nome e giocatori, di qualità inferiore a quella dei rossoneri è un segno se non di resa, quantomeno di fragilità, di mancanza di spirito, di non attaccamento alla maglia. Che è ben diverso dal nazionalismo, ma richiama parte dello stesso sentimento, ossia quello di identificarsi con un simbolo, con dei colori.