Il Congresso di Vienna

Tutti i limiti del patriottismo retroattivo di Monaldi e Sorti

Antonio Gurrado

Sulla Stampa un articolo indignato per come il Risorgimento italiano è spiegato nei libri di testo usati nelle scuole austriache 

Monaldi e Sorti – la premiata ditta che produce bei gialloni storici – ha pubblicato sulla Stampa un reportage che si scandalizza per il modo in cui i manuali scolastici austriaci presentano il Risorgimento, tema caldissimo ora che Kurz propone la doppia cittadinanza per gli altoatesini. Emerge dall’inchiesta “il rancore di un vecchio padrone”: più di un secolo e mezzo dopo le guerre d’indipendenza, gli austriaci non hanno ancora digerito il Risorgimento tanto che, agli studenti, insegnano che fu il risultato delle mire espansionistiche dei Savoia; che l’idea di un’Italia unita venne in corso d’opera; che Cavour intessé rapporti con Francia e Inghilterra allo scopo d’isolare l’Impero asburgico per poterlo smembrare e papparsi quanto meno la Lombardia. L’evenienza che siano tutte considerazioni vere non smonta il patriottismo retroattivo di Monaldi e Sorti, i quali s’indignano particolarmente per queste righe su un manuale della casa editrice scolastica di Stato (fondata nel 1772 sotto Maria Teresa): “Dopo il congresso di Vienna venne ristabilito il vecchio ordine. I popoli erano in maggioranza solidali con i loro governanti. Gradatamente in Europa si fece però strada l’idea che in uno Stato potessero convivere solo persone con il medesimo passato storico, la medesima lingua e la stessa cultura. Questa idea si chiamava nazionalismo”. Va bene che può suonare eccessivo iscrivere d’ufficio Garibaldi e Mazzini a un movimento sovranista, ma non c’è bisogno di essere Claudio Magris per ricordarsi che, a seguito dell’assedio turco a Vienna, dal tardo Seicento in poi l’Impero si era prodigato per tenere assieme ungheresi, serbi, tedeschi, boemi, italiani; e che invece la definizione della nazione come “una d’arme, di lingua, d’altare / di memorie, di sangue e di cor” non l’ha data CasaPound bensì Manzoni nel “Maggio 1821”, dedicato a “tutti i popoli che combattono per difendere o riconquistare una patria”.

 

Quanto alla restaurazione, chissà come avrebbero reagito Monaldi e Sorti dinanzi a questo brano: “Sarebbe erroneo credere che l’opera di reazione organizzata dal Congresso di Vienna riposasse unicamente sulla forza e sull’arbitrio. Essa si accordò con la stanchezza dei popoli e col disgusto suscitato dagli eccessi della rivoluzione e poi dal dispotismo e dalla ambizione napoleonici. Inoltre le idee su cui si erano fondati i restauratori rispondevano ancora alle convinzioni di gran parte dei sudditi. Le idee della rivoluzione non erano infatti penetrate molto addentro nella coscienza dei popoli”. Lo ha scritto un pericolosissimo austriacante, kurziano a sua insaputa: Luigi Salvatorelli, storico di vaglia, grande intellettuale del Novecento italiano, militante antifascista e già vicedirettore della Stampa.

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