L'omicidio di Luca Varani: sesso, droga, sangue e pop corn

Redazione
I due trentenni della Roma bene che hanno torturato e il giovane "per vedere l’effetto che fa". E adesso si accusano a vicenda.

«Luca non moriva, si riprendeva ogni volta. Manuel era molto infastidito dal fatto che Luca non moriva» (dal racconto di Marco Prato, che con l’amico Manuel Foffo ha torturato e ucciso Luca Varani).

Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere.it 11/3;

 

Luca Varani, 23 anni, studente, d’origine jugoslava ma adottato quando aveva pochi mesi da due romani ricchi, «esile, fragile, carattere debole», appassionato di matematica, doveva ancora capire cosa fare. Fidanzato da nove anni con la coetanea Marta Gaia Sebastiani, cameriera in una società di catering. Di recente aveva conosciuto un Marco Prato di anni 29, padre italiano, madre francese, solito farsi chiamare Pratò, con l’accento sulla o, laurea in Scienze politiche, organizzatore di eventi, sogni di attore e modello, un flirt, in passato, con la soubrette Flavia Vento. Costui da martedì 1° marzo si tappò nella casa dell’amico Manuel Foffo, 30 anni, universitario fuori corso, figlio del proprietario di una delle più importanti agenzie di pratiche auto di Roma e del ristorante «Dar Bottarolo» a Pietralata. I due per 48 ore nell’appartamento al decimo piano di un palazzo di via Igino Giordani, periferia est di Roma, bevettero alcolici, tirarono 1.800 euro di coca, fecero sesso più e più volte. Poi giovedì sera gli venne l’idea di «uccidere qualcuno per vedere l’effetto che fa», come ha raccontato Foffo, o di «simulare uno stupro con un prostituto-maschio», come invece sostiene Prato. Uscirono in macchina ma non trovarono nessuno che faceva al caso loro, allora pensarano al Varani. La mattina dopo Prato gli mandò un messaggio promettendogli 150 euro per un incontro sessuale, lui accettò. Appena bussò a casa del Foffo, gli offrirono un bicchiere d’alcol con dentro l’Alcover, sostanza nota come il metadone degli alcolisti che Manuel possedeva «perché me lo ha prescritto il medico, visto che ho sofferto di etilismo». Poi i due gli indicarono il bagno: «Ti vogliamo pulito, fatti una doccia». Quando finì di lavarsi, mezzo nudo, in preda ai conati di vomito per quello che aveva bevuto, gli annunciarono: «Abbiamo deciso di ucciderti». Gli diedero una martellata in testa per stordirlo, una coltellata alla gola per impedirgli di gridare, gli strinsero una corda attorno al collo. Poi ancora coltellate all’addome, al volto e sul collo, venticinque, e ancora martellate, cinque, soprattutto sulle mani, per frantumargliele e impedirgli di difendersi. Infine, quando rantolava sul pavimento in una pozza di sangue, uno dei due gli diede una coltellata al cuore, lasciandogli la lama conficcata nel petto.

Tutti i giornali del 7, 8 e 9 marzo; Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 11/3; Fulvio Fiano, Corriere della Sera 11/3; Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 12/3;

 

Mentre Luca era in terra, forse ancora vivo, coperto da un piumone perché non volevano guardarlo in faccia, Manuel e Marco s’addormentarono abbracciati sul letto, nella stessa stanza. Al risveglio misero il cadavere sul letto per pulire il pavimento e gettarono i vestiti del morto «in un cassonetto sotto casa». Sabato il Foffo raccontò tutto al padre, che chiamò i carabinieri. Marco Prato fu rintracciato poche ore più tardi in una camera dell’Hotel San Giusto, vicino piazza Bologna: aveva ingerito benzodiazepine e superalcolici. Lui dice che in preda ai rimorsi si voleva suicidare, gli inquirenti non escludono che volesse solo attenuare gli effetti della cocaina.

Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere.it 11/3;

 

La telefonata a Varani dal cellulare di Prato (preceduta da un sms) è partita alle 7 e 12 minuti di venerdì 4 marzo. La sua morte dovrebbe risalire alle 9.30.

Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3;

 

Secondo Foffo la pugnalata al cuore l’avrebbe inferta Prato, che sostiene invece l’esatto contrario. I due non sanno che l’autopsia ha stabilito non essere stata quella coltellata a uccidere Luca, ma tutte le sevizie che hanno preceduto la sua morte, avvenuta per dissanguamento.

Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3; Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 12/3;

 

Il racconto di Foffo, secondo cui lui e Marco cercavano qualcuno da uccidere «per vedere che effetto fa»: «A casa sono venuti a sniffare e bere anche altre persone, come Alex e Giacomo, ma non ci è scattato il trip [...]. Quando Luca è entrato in casa ci siamo guardati negli occhi ed è scattato un clic: era lui la persona giusta [...]. Ho trovato io i due coltelli e il martello. La corda non so da dove è spuntata fuori. Abbiamo colpito tante volte. Luca non è mai riuscito a resistere alle nostre violenze, non ha mai gridato. Mentre lo colpivamo non provavo piacere però non ero in grado di fermarmi anche se ho avuto dei momenti in cui provavo vergogna per quello che facevo. Lo abbiamo davvero torturato. Ricordo solo che la morte è sopravvenuta dopo molto tempo e Luca ha sofferto molto. Non so come mi sia potuto trasformare in un animale del genere. Anche in passato avevo avuto un momento in cui volevo far del male a una persona, ma non ho mai pensato potesse concretizzarsi».

Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 8/3; Grazia Longo, La Stampa 9/3; Fulvio Fiano, Corriere della Sera 9/3;

 

Il racconto di Prato, secondo cui la piega violenta è stata decisa da Foffo: «Sono andato a casa di Manuel martedì sera, con vestiti maschili e una borsa con una parrucca e altri abiti femminili. Nei due giorni che siamo stati a casa di Manuel abbiamo avuto numerosi rapporti. Non avevamo l’idea di nessun omicidio, non se n’era mai parlato nei nostri deliri». Giovedì sera sono usciti «per cercare una “marchetta”, io sempre vestito da donna. Siamo andati a piazza della Repubblica, a Villa Borghese e a Valle Giulia, ma non abbiamo trovato nessuno. Non siamo andati in giro per uccidere. Manuel voleva avere un rapporto estremo con lo stupro. Siamo tornati a casa alle 6.30 di venerdì mattina. Abbiamo chiamato Luca e gli abbiamo offerto 150 euro. Quando è arrivato gli ho aperto la porta sempre vestito da donna, lui ha cominciato a drogarsi con noi. Io e Luca abbiamo iniziato a fare sesso e Manuel assisteva». Poi Manuel interviene nel rapporto, «dopo aver leccato i tacchi a spillo ed essersi fatto camminare sul corpo». A un certo punto «Manuel era come impazzito, mi ha chiesto prima di versare un farmaco nel bicchiere di Luca e poi dopo che questo aveva cominciato a stare male mi ha chiesto di ucciderlo: “Questo stronzo deve morire”, urlava in preda a un improvviso e insensato odio e repulsione verso Varani. Manuel mi ha detto “strozzalo”, io ho provato, ma Luca si è ripreso, mi ha scansato e non sono riuscito a fermarlo e a quel punto Manuel è andato in cucina, ha preso un martello e ha cominciato a colpirlo, ho cercato di calmarlo inutilmente. Poi ha preso un coltello e lo ha colpito ancora ma Luca non moriva... Eravamo strafatti di coca, io non ce l’ho fatta ad oppormi alla morte di Luca. Lui si lamentava “Non voglio morire” e allora Manuel gli ha tagliato le corde vocali per farlo stare zitto. Gli abbiamo messo una coperta sul viso per non vederlo, respirava ancora in modo affannoso. Non potevo più sopportare tutto questo. Manuel voleva essere baciato in testa per avere la forza da me per uccidere Luca. Non voleva farlo soffrire, voleva solo ucciderlo. Poi mi disse: “Questa cosa ci legherà per la vita”».

Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 11/3; Fulvio Fiano, Corriere della Sera 11/3; Grazia Longo, La Stampa 10/3;

 

L’ordinanza con cui il gip Amoroso ha convalidato l’arresto in carcere per Foffo e Prato parla di «delirio sadico», di «modalità raccapriccianti» dell’omicidio e di «un crudele desiderio di malvagità».

Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3;

 

Durante i due giorni di droga e violenza che hanno portato all’uccisione di Luca Varani, nella casa di Manuel Foffo, oltre a Marco Prato, sono passati altri uomini: uno spacciatore albanese; Giacomo, un romano residente a Milano; “Alex Tiburtina” (come era memorizzato il nome sul telefonino di Foffo); un cameriere gay di nome.

Riccardo Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 12/3;

 

Alex, ex militare e pugile dilettante, 34 anni, presente a casa di Foffo dalle 5.30 alle 8.30 del giorno che ha preceduto il delitto: «Quei due erano fuori di testa, mi ha invitato Foffo alle 5 del mattino. Ho preso un taxi e li ho raggiunti. Non erano vestiti da donna, ma c’era una parrucca. Anche a me hanno offerto alcol e cocaina, ma io bevo solo birra e quel drink non lo volevo. Forse questo mi ha salvato, potevo stare al posto di Luca. Non è vero che ho fatto sesso con Prato (come quest’ultimo ha raccontato al gip), solo che prima di andare via l’ho sentito dire a Foffo: “Tanto non è lui che volevamo, non ci dovevamo fare niente”».

Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere della Sera, 12/3;

 

Valter Foffo, padre di Manuel, ha scoperto di avere un figlio assassino sabato pomeriggio. Erano ai funerali dello zio «morto giovedì», tutta la famiglia e anche Manuel appunto, quel giorno insolitamente «strano, imbambolato, non riusciva a parlare e io, da astemio, ho pensato fosse ubriaco...». «Hai bevuto?». «No papà, ho preso della cocaina». «Cocaina? Ma ti rendi conto di quanto sei sceso in basso?». «No papà, sono sceso molto più in basso. Abbiamo ammazzato una persona».

Erica Dellapasqua, Corriere della Sera 8/3;

 

Il padre di Marco Prato è Ledo Prato, un nome di spicco nell’ambiente culturale, segretario generale dell’Associazione Mecenate 90 presieduta da Giuseppe De Rita, docente in diverse Università nei corsi di specializzazione in marketing dei beni e delle attività culturali.

Erica Dellapasqua, Corriere della Sera 8/3;

 

Massimo Gramellini sul padre di Manuel: «Il signor Valter Foffo è andato a sedersi sulla poltroncina bianca di Porta a porta: scelta discutibile per qualcuno, ma assolutamente legittima. Il problema sono i concetti che è andato a esprimere su quella poltroncina. Anzitutto che suo figlio, in attesa di dare martellate sul cranio alla gente per pura curiosità, era sempre stato “un ragazzo modello, contro la violenza: un autodidatta”. Non un trentenne fuoricorso cronico, dedito a droghe e alcol. Un autodidatta. Di più, “un ragazzo molto buono, forse eccessivamente buono, e anche riservato. Con un quoziente intellettivo superiore alla media”. [...] La notte dei mostri sarebbe da attribuire esclusivamente all’abuso di droghe potentissime».

Massimo Gramellini, La Stampa, 12/3;

 

Gramellini sul padre di Marco, il professor Ledo Prato: «La lettura del suo intervento su Facebook è, se possibile, ancora più straniante dell’intervista televisiva del signor Foffo. Là almeno c’era la difesa dell’indifendibile da parte di un padre sconvolto. Qui invece si assiste all’esplosione straripante di un ego. Quello del professore. Il quale parla sempre e solo di sé, per ribadire a tutti che lui ha trascorso la vita a trasmettere valori positivi, anche se qualche volta ci è riuscito e qualche altra no «come dimostra questa tragedia». Si premura di autoassolversi come padre, riconoscendo che «non sempre riusciamo ad avere un ruolo decisivo nei rapporti umani e familiari». Ma si guarda bene dall’esprimere la benché minima osservazione sul comportamento del figlio.

Massimo Gramellini, La Stampa, 12/3;

 

Pare che Prato soffrisse per la sua condizione sessuale, tanto da desiderare ardentemente di operarsi per diventare una donna. Ma i suoi genitori non ne volevano nemmeno sentir parlare.

Grazia Longo, La Stampa 9/3;

 

Manuel Foffo dice di aver incontrato Marco Prato solo tre volte, lo definisce «gay», mentre di sé dice: «Io sono eterosessuale». Però ammette di «aver avuto un rapporto orale con lui, quando ci siamo conosciuti, la notte di Capodanno. La cosa mi ha dato fastidio e avevo deciso di non vederlo più». Ma Marco aveva girato un video e con quello, a suo dire, lo teneva sotto ricatto.

Grazia Longo, La Stampa 9/3;

 

Un’amica di Marco Prato: «Era un ragazzo timido, complessato, grassottello, piccolo. Poi quando ha smesso di fingere di essere eterosessuale si è trasformato, è diventato un figo».

Maria Corbi, La Stampa 8/3;

 

Già un mese fa Marco Prato si era rinchiuso nel suo appartamento a piazza Bologna con un trentenne cocainomane come lui, riempiendolo di calci e pugni. In quella circostanza la vittima è stato salvata grazie alla madre che, preoccupata per la sua sparizione, si è rivolta al 112. Una mossa dettata dal fatto che tutti gli amici del figlio contattati al telefono avevano spiegato di non essere insieme a lui. Tutti tranne Marco Prato, che non aveva mai risposto alle incessanti chiamate della madre disperata. Di qui la decisione di rivolgersi ai carabinieri e la scoperta nella casa: Marco Prato e l’amico trentenne strafatti e quest’ultimo gonfio di botte. All’epoca fu presentata una denuncia per lesioni personali, che poi però venne ritirata.
 Alessandra Longo, La Stampa 9/3;

 

I genitori di Luca Varani durante la guerra in Jugoslavia lo avevano nascosto in un orfanatrofio, era stato poi adottato da due romani benestanti. Il papà, Dario, artigiano tappezziere con impresa individuale, di fronte al cadavere del figlio: «Mia moglie non ha neanche la forza di venire a vederlo. Lo abbiamo preso che aveva pochi mesi e già da piccolo è stato male. E ora questi due disgraziati ce l’hanno ucciso».

Ilario Lombardo, La Stampa 8/3

 

La fidanzata di Luca, Marta, su Facebook: «Sei stato troppo buono e ingenuo con le persone sbagliate».
Ilario Lombardo, La Stampa 8/3

 

 

a cura di Roberta Mercuri

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