Giuseppe Pignatone (foto LaPresse)

Bravo Pignatone, ora andiamo avanti

Redazione
Giuseppe Pignatone, capo della procura romana, ha emanato alcune direttive che dovrebbero evitare che vengano rese pubbliche le intercettazioni irrilevanti ai fini processuali.

Giuseppe Pignatone, capo della procura romana, ha emanato alcune direttive che dovrebbero evitare che vengano rese pubbliche le intercettazioni irrilevanti ai fini processuali. L’idea di combattere alla radice il vezzo di utilizzare e propalare attraverso la pubblicazione negli atti processuali pettegolezzi ininfluenti sulla dinamica processuale, ma che spesso diventano ghiottonerie per l’affamato spirito scandalistico del sistema mediatico-giudiziario, è senza dubbio lodevole. Lo è assai meno se, come pare da qualche accenno dello stesso procuratore, con questa misura si cerchi di evitare che la questione venga regolata da un provvedimento legislativo. Se c’è il rischio che il diritto alla riservatezza garantito dalla Costituzione venga violato, quel rischio va contrastato in tutti i casi, non solo in quelli considerati tali da qualche membro della procura.

 

Salvaguardare “l’insostituibile strumento di indagine e di ricerca delle prove” senza dimenticare che spetta ai magistrati inquirenti stabilire quale deve essere l’equilibrio tra diritto alla riservatezza e interesse alla completezza dell’azione penale. Pignatone dovrebbe sapere bene che la spettacolarizzazione dei processi finisce quasi sempre col creare un clima che distorce e condiziona la ricerca di una verità processuale basata soltanto sul dibattimento delle prove. Resta comunque l’esigenza di definire per legge – e non solo per regolamento interno di una procura – una disciplina garantista dell’uso delle intercettazioni, esigenza avvalorata proprio dal fatto che anche nelle procure si comincia a capire quali effetti perversi possono derivare da una gestione spregiudicata.  

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