Il senatore Ncd, Antonio Azzollini (foto LaPresse)

Tutti i buchi del teorema accusatorio contro il sen. Azzollini

Annalisa Chirico
A Trani c’è una procura famosa, quella della guerra alle agenzie di rating che in autunno chiamerà a testimoniare Mario Draghi, Romano Prodi e Giulio Tremonti. Per non restare inoperosa nell’attesa, la stessa procura richiede l’arresto del senatore Ncd Antonio Azzollini, già sindaco di Molfetta e presidente della commissione Bilancio del Senato.

Roma. A Trani c’è una procura famosa, quella della guerra alle agenzie di rating che in autunno chiamerà a testimoniare Mario Draghi, Romano Prodi e Giulio Tremonti. Per non restare inoperosa nell’attesa, la stessa procura richiede l’arresto del senatore Ncd Antonio Azzollini, già sindaco di Molfetta e presidente della commissione Bilancio del Senato. Al centro dell’inchiesta “Oro pro nobis” c’è il crac da 500 milioni della Casa divina provvidenza (Cdp) di Bisceglie, l’ex ospedale psichiatrico finito in amministrazione straordinaria. Secondo l’accusa, Azzollini sarebbe il deus ex machina di un’associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta. Nel 2009 una frase ingiuriosa rivolta a suor Marcella avrebbe “inaugurato la stagione azzolliniana” mediante l’imposizione di uomini di fiducia del senatore ai vertici dell’ente. L’enunciato da trivio, “qui comando io, sennò vi piscio in bocca”, è riferito agli inquirenti, come prova regina della “portata intimidatoria” del politico, da un ex dirigente allontanato dalla Cdp e dal di lui figlio. Antonio e Attilio Lo Gatto dichiarano di aver origliato dalla stanza adiacente a quella in cui si teneva l’aspro alterco. Sul quando le deposizioni divergono. Tra il 2006, 2007, 2008, non ricordo se in estate o in inverno, è lo sbiadito ricordo di Lo Gatto junior. Nel 2009, scandisce Lo Gatto pater. Vai a capire chi la ricorda giusta tra i due testimoni neanche oculari.

 

“Se non ci fosse di mezzo un senatore, testimonianze così generiche e contraddittorie non sarebbero giudicate ammissibili”, commenta il collega di partito Andrea Augello. A seguito della minaccia l’ente si sarebbe trasformato in una “merce di scambio per ottenere favori di varia natura”. Quali, vogliamo sapere quali. Follow the money. Ma i soldi non ci sono. Secondo i magistrati, “la circostanza che Azzollini, a differenza degli amministratori ufficiali dell’ente, non abbia agito per natura economica (non vi è prova che il senatore abbia conseguito o tentato di conseguire un lucro dalla gestione dell’Istituto, ndr), non impedisce di considerarlo componente dell’associazione a delinquere, per giunta con la posizione di capo, avendo l’indagato agito per interessi di tipo personale ancorché diversi da quelli di altri sodali […] costituendo l’Ente, un bacino il cui mantenimento in vita assicura al politico molfettese un consenso politico personale di notevole portata e pressoché eterno da parte di tutti coloro che, proprio grazie al suo intervento, continuano a trarre guadagni (leciti o illeciti) dalla congregazione”. Sic. Ad Azzollini è contestata la ricerca del consenso. C’è poi un altro aspetto. Gli emendamenti tesi a evitare il crac della Cdp, riproposti negli anni, non sempre da Azzollini (nel 2012, per esempio, la firma è di Giovanni Legnini, attuale vicepresidente del Csm) e approvati dal Parlamento nel suo insieme, con l’avallo dei governi Berlusconi, Prodi, Monti, Letta a Renzi, diventano l’arma del reato. La procura che impugnerà la “leggina Azzollini” davanti alla Consulta. Ma da quando tocca alle procure occuparsi della legittimità costituzionale delle leggi?

 

[**Video_box_2**]Addio Montesquieu. “Se la Maserati di Modena finisse in disgrazia e mi chiedesse un emendamento, non esiterei a presentarlo. E’ mio dovere di parlamentare”, dice Carlo Giovanardi. Dalle 565 pagine dell’ordinanza trasmessa a Palazzo Madama emerge uno spaccato di malagestione, suore e prelati con una “mentalità propria dei laici” e responsabili di “aver rinnegato i valori fondativi della missione in un lento e incessante processo di secolarizzazione”, fondi nascosti in un conto Ior, scritture contabili falsificate e compensi gonfiati. Compaiono amanti serbe, lubrificanti e sodomia, bocconi succulenti per il processo mediatico e trasmessi al Senato sebbene non riguardino il senatore. Ma la domanda rimane: perché Azzollini dovrebbe andare ai domiciliari senza processo? Può davvero reiterare il reato in un istituto retto da un commissario (che ha nominato consulente il fratello di un pm di Trani)? Può una classe politica degna di questo nome soccombere dinanzi all’atto esorbitante di una procura che vuole insegnare come si fanno le leggi?

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