Una convention dell’Ump nel 2012. Allora era Nicolas Sarkozy a parlare dal palco

Destra francese all'ultimo tango

Paola Peduzzi

Nell’Ump tutti vogliono fare il presidente e, pure lì, il partito si disintegra. Il mondo intellettuale è però vivace. Le teste che preparano il 2017 hanno meno di 30 anni. Nomi e nuove ideologie. Nei sondaggi delle prossime regionali il Front national va alla grande, la sinistra trema, la destra vive di stizza interna.

Nella destra francese vogliono tutti fare il presidente. C’è l’onnipresente Nicolas Sarkozy che ha conquistato la leadership del partito e spera nel gran ritorno da salvatore, puntellando le sue sortite con un po’ di colpi alla destra del Front national e alla sinistra del Partito socialista, molta tattica e poca strategia, e ci sono tante altre criptocandidature che si muovono come corpi autonomi, senza coordinamento, anzi, con una buona dose di rivalità. Il tutti contro tutti è un grande classico della politica francese, che ha una storia di meravigliosi tradimenti, ma in un momento in cui il paese si trova a dover affrontare sfide culturali enormi, legate all’economia e all’assetto sociale, non pare molto efficace. Nei sondaggi in vista delle regionali del 22 e del 29 marzo, il Front national va alla grande, soprattutto non ha mai avuto tanti candidati come a questo turno elettorale. I giornali francesi sono pieni di racconti sull’entusiasmo che si respira dalle parti di Marine Le Pen, e anche se gli ideologi del Front ripetono che bisogna prendere i numeri delle rilevazioni con cautela, i commentatori si dilettano a immaginare che Francia sarà quando il Fn ne sarà il nuovo padrone. La sinistra del Partito socialista teme la disfatta, i socialisti rischiano di perdere al primo turno in 500 circoscrizioni su 2.054, dicevano ieri allarmati alcuni funzionari, ma la destra dell’Ump è ancora più preoccupata, si pone come forza alternativa al “FnPs”, però continua a perdersi dietro alla ricerca di un candidato forte, come se trovare un nome implicasse anche la scoperta di una strategia.

 

Questo è certamente il momento d’oro di Alain Juppé, il “resuscitato”, che prima è stato incensato da Les Inroks (con una foto bellissima sulla cover, il colletto della camicia aperta, il titolo “Juppémania”, e un occhio al voto giovane che pare la cosa più lontana da Juppé) e che ora occupa la copertina dell’Obs, con il sorriso e le occhiaie d’ordinanza, accompagnato da una domanda non proprio garbata: “Ma che ci trovano tutti in lui?”. In realtà la risposta, negli articoli interni, è trionfante. Juppé piace a tutti, a tantissimi nell’Ump (molto più di Sarkozy, che viaggia con un consenso minimo), dove è il più popolare, ma a molti anche nella sinistra del Partito socialista e tra i Verdi – e dopo vent’anni di odio assoluto questo per lui è già un gran successo. C’è però poco da stare tranquilli, perché alle elezioni in Francia mancano anni – si vota nel 2017 – anche se la campagna elettorale è permanente, e perché all’Ump incastrato tra l’ascesa del Front national e i tentativi liberali dei socialisti al governo mancano soprattutto le idee. “Non pensa nemmeno a una strategia, l’Ump”, dice al Foglio Gaspard Koenig, direttore trentaduenne del think tank liberale Génération Libre, “il partito è solo una somma di personalità, ognuna con il proprio team, con il proprio circolo di riferimento, con i propri consiglieri, ma senza una strategia comune, un’idea comune”. Non è piaciuto a molti, per esempio, il voto contrario dato alla legge Macron, la legge sulle liberalizzazioni, che avrebbe dovuto essere invece apprezzata soprattutto a destra. E’, per dirla con le parole di Koenig, che vive a Londra, ama Gilles Deleuze ed è stato la “plume” di Christine Lagarde quando lei era ministra a Bercy, “la disintegrazione”. Ma secondo alcuni, questa vacanza che i politici della destra si sono presi, a loro insaputa s’intende, ha fatto nascere un impegno intellettuale, nei think tank e nei giornali, molto più attivo. Basta leggere Atlantico o Contrepoints (oltre all’imprescindibile Commentaire) per intravvedere questo bisogno di idee e di presenza, così come molti think tank stanno elaborando, in modo che oseremmo definire anglosassone se in Francia non suonasse tanto odioso, programmi e suggerimenti che vadano a riempire i buchi lasciati da troppe personalità senza una visione comune.

 

Il magazine Le Point, nel numero scorso, si è dedicato alla questione della destra che deve risvegliarsi con un dossier intitolato “La vera destra” e volti che vanno da quello di Gérard Depardieu, capolista della rivolta fiscale, ad Alain Finkielkraut, critico con la sinistra e con il Fn con lo stesso ardore, passando per la navigatrice Maud Fontenoy, “ecologista controcorrente”. Il settimanale propone una mappa delle diverse anime del conservatorismo francese (con la domanda a tutta pagina: ma Michel Houllebecq è di destra?, senza risposta, ovvio), individuando i liberali, i conservatori, i sovranisti, e i nemici del politicamente corretto. Una galassia disunita, anche qui con grandi personalità del mondo intellettuale, che viaggia sul crinale della tentazione frontista e della tradizione repubblicana. Ma se il dibattito mainstream è occupato da intellettuali pesanti come Eric Zemmour e il suo inappellabile “suicidio francese”, complice anche l’avanzata del Front national che tutti terrorizza e tutti indigna, l’area più vivace – e più giovane – è quella liberale.

 

Perché, direte voi, esistono liberali in Francia? Al momento, va detto, sono persino al governo: Manuel Valls, il premier francese che dopo un mese di ritorno di popolarità ora sta riprecipitando nel suo misero (e ingiusto) consenso, ha rilasciato un’intervista al Wall Street Journal nel fine settimana che pare scritta da un liberale americano. Koenig, che di liberalismo è esperto, dice che “c’è un revival nella sinistra, o meglio, in una piccola parte della sinistra”: se uno dovesse fare una fotografia della Francia oggi direbbe che sì, il liberismo è di sinistra. A destra la corsa ad accappararsi il voto conservatore, che pencola tra l’Ump e il Fn, fa sì che i liberali, come dice Alexandre Jardin – scrittore e fondatore del movimento Bleu Blanc Zèbre, un “do-thank”, lo definiscono loro, un movimento del fare – siano percepiti come un branco di cowboy razziatori, e non come quelli che possono salvare il paese. Certo, se il conservatorismo è interpretato nella maniera del filosofo Michael Oakeshott, “la coscienza di poter perdere qualcosa che si è imparato ad amare”, vince la logica di Zemmour su quella liberale. Ma anche questo, in Francia, sta cambiando, perché se la politica è fatta di grandi personalità e di grandi liti – Laurent Wauquiez ha appena finito di dire su Nicolas Sarkozy, di cui è grande amico e confidente: “Franchement, cela n’a plus rien à voir avec le Sarko de 2012. Il n’a plus la queue d’une idée”, cioè l’ex presidente non ha più uno straccio di idea, e già nel 2012 comunque Sarkozy le elezioni le aveva perse – il mondo intellettuale è di nuovo in grande subbuglio. C’è stata “una mutazione”, scrive il Point, il pensiero di sinistra “non si è più rivelato molto fecondo in giro per il mondo”, ed è ora di ripensare le destre.

 

Lo storico François Huguenin sostiene che il conservatorismo francese, incastrato tra i reazionari e i liberali, non è mai esistito, e certo i liberali di oggi non vogliono infilarsi nella dicotomia destra-sinistra. “Il liberismo è un’idea a sé”, dice Koenig, che però, costretto ad azzardare qualche nome da affiancare alla sua visione del mondo, dice quello dell’ex premier François Fillon, “non che sia un endorsement, questo”, ribadisce, “ma i tentativi liberali più radicali sono stati fatti nel suo entourage”. Agnès Verdier-Molinié, splendida direttrice della Fondazione iFrap, uno dei think tank più vivaci di Francia che si occupa di politiche pubbliche, dice che non si tratta più di definirsi liberali, perché le etichette spesso sono un ostacolo, ma “bisogna lavorare per l’interesse nazionale”. “Non sono una militante liberale”, dice, e mentre chi la conosce garantisce che a vedere che cosa ha votato in passato c’è da stupirsi, lei ribadisce: “Facciamo della pedagogia, dimostriamo attraverso a+b perché è necessario fare le riforme” (in un’intervista a Libération sorridendo ha detto: “Quando vedo François Hollande, mi dico che forse serviamo a qualcosa”). La distinzione oggi rilevante semmai, secondo Agnès Verdier-Molinié, è tra conservatorismo e riformismo, ed è su questa che anche l’Ump deve scegliere da che parte stare (l’iFrap è stato interpellato dal ministero dell’Economia per uno studio sui negozi aperti di domenica e ha consegnato i risultati: dovrebbero essere aperti 52 settimane l’anno). Koenig ha firmato ieri sul quotidiano di sinistra Libération un commento, assieme al professore di Economia Emmanuel Combe, in cui scrive: “Se nostalgici e progressisti potessero formare domani due coalizioni politiche al posto del dualismo destra-sinistra, i cittadini avrebbero infine una scelta chiara, e il dibattito politico non potrebbe che essere migliore”. Che significa superare anche le barriere generazionali, che sono molto forti nel voto conservatore.

 

Robin Rivaton ha pubblicato lo scorso anno un libro che si intitola “La France est prête. Nous avons déjà changé”, che è un manifesto contro il pessimismo: dice che le teorie decliniste hanno avuto un’accelerazione incredibile dopo la crisi del 2008, sostituendosi alle teorie della “Francia locomotiva dell’Europa” che caratterizzarono i primi anni Duemila. C’è stata una rivoluzione culturale che non è stata interpretata – o che forse è passata inosservata rispetto al nazionalismo di ritorno, anche perché questo va fortissimo nelle urne, mentre tutto quel che suona liberale fa soltanto storcere il naso – che ha portato i francesi a convertirsi, più con la testa che con il cuore, all’individualismo liberale. Rivaton ha 27 anni e Alain Juppé, che l’ha citato spesso nei suoi interventi, l’ha definito “l’anti Zemmour”. Ma Rivaton piace anche a Sarkozy, a Fillon e ad altri criptocandidati dell’Ump come Xavier Bertrand e Bruno Le Maire, tutti cercano di conquistarlo, pure se lui ripete di non appartenere ad alcuna corrente. Definito dal Point “l’oracolo precoce”, Rivaton, che fa parte del think tank progressista Fondapol, è anche parecchio ambizioso, sogna di essere la “plume” del programma dell’Ump del 2017, ricorda di aver dieci anni di meno del già giovane ministro dell’Economia Emmanuel Macron, e rilancia il suo progetto francese del “New Deal de 2020” con una premessa che va a colpire uno dei tabù della sinistra francese, le 35 ore: “La Francia è il paese dove si lavora 100 ore in meno l’anno rispetto alla Germania”, per forza bisogna cambiare.

 

La gara per tratteggiare il programma dell’Ump per il prossimo ciclo elettorale è aperta. Un altro concorrente è François-Xavier Bellamy, che di anni ne ha 29, filosofo, autore di un altro libro super citato dai politici francesi (soprattutto da Nathalie Kosciusko-Morizet, che già ha corso senza successo come sindaco di Parigi), “Les déshérités ou l’urgence de transmettre”, e impegnato nella Manif pour tous, l’associazione che si batte contro la legge Taubira sui matrimoni gay. Bellamy si inoltra nel terreno difficile dell’identità, occupato stabilmente oggi dal Front national, e dice che quella francese è “nata dall’alleanza della tradizione giudaico-cristiana con la ragione antica”, e sulla base di una consapevolezza sul sapere quasi egocentrica dice: “La destra deve avere un pensiero, non soltanto una tattica per battere i socialisti o il Front national”. Che è quello che chiedono un po’ tutti, gli elettori e gli intellettuali, ma che i politici per ora, impegnati nelle loro liti, s’ostinano a non ascoltare.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi