La marcia di domenica scorsa in memoria di Boris Nemtsov a Mosca (foto LaPresse)

Morte di un politico gentile con Israele

Redazione

Contro Nemtsov, di madre ebrea, anche l’arma dell’antisemitismo

Sua madre era ebrea, ma Boris Nemtsov era stato battezzato da suo nonno, russo ortodosso. Il leader dell’opposizione russa ucciso venerdì sera sotto le torri del Cremlino era un amico di Israele, prendeva parte alle conferenze organizzate dal Centro Simon Wiesenthal e la campagna interna per deleggittimarlo ha preso qualche volta le sembianze dell’antisemitismo – verrebbe da dire strisciante, ma mica tanto: l’antisemitismo in certi settori neri di Mosca non striscia, anzi è in forma smagliante.
Questo legame ebraico di Nemtsov va ricordato ora che si è preso quattro pallottole nella schiena perché lui non è che la vittima più illustre della guerra di propaganda che si combatte tra Russia e Ucraina (non conta quale sia il movente vero e il responsabile materiale: Boris ha subìto un martellamento ignobile in vita e di quello si conoscono perfettamente i mandanti). In quella guerra, l’antisemitismo è stato agitato in tutte le sue forme: o gettandolo addosso agli avversari per farli apparire come dei pericolosi nazisti, o rivendicandolo senza imbarazzo – come fattore identitario che condisce meglio il nazionalismo esasperato della soldataglia da ambo le parti.

 

Muore un politico gentile con Israele, e la questione è quasi assente dalle notizie, schiacciata com’è dall’altra questione, quella gigantesca del rapporto con un Vladimir Putin sempre più prigioniero delle conseguenze della sua politica. Se l’essere di origine ebrea ha aizzato i nemici di Boris Nemtsov durante la sua campagna d’opposizione, gli valga adesso un piccolo riconoscimento in più, accanto a quelli già tributatigli dai simpatizzanti in tutto il mondo.

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