David Cameron e Vladimir Putin (foto LaPresse)

Perché è l'Inghilterra la grande avversaria di Putin in Europa

Maurizio Stefanini

Mentre l'Ue e l'America attendono gli sviluppi del cessate il fuoco nel Dombass, Cameron ha annunciato che entro il 15 marzo saranno in Ucraina 75 consiglieri incaricati di provvedere “consulenza e addestramento" della fanteria di Kiev.

È in nome dell’Europa che la Rivoluzione di Maidan ha portato l’Ucraina nella rotta di collisione con la Russia che adesso preoccupa e imbarazza tutto l’Occidente. Ma è il più euroscettico dei Paesi, la Gran Bretagna, che si trova in prima linea nel sostenere Kiev contro Mosca. Più ancora degli stessi Stati Uniti. A Washington infatti è ancora un’ipotesi in discussione quella di mandare armi e istruttori militari al governo di Poroshenko, mentre oltremanica il primo ministro David Cameron ha annunciato ai Comuni che già entro il 15 marzo saranno in Ucraina 75 consiglieri incaricati di provvedere “consulenza e addestramento” non solo nei settori di medicina, intelligence e logistica, ma anche nel combattimento di fanteria, mentre l’ex-capo dell’Intelligence Service John Sawers evoca i Mig intercettati al largo della Cornovaglia per denunciare come la Russia rappresenti ormai “un pericolo” che richiederà un aumento delle spese della difesa. Renzi invece non rinnega Putin anche dopo il delitto Nemtsov, limitandosi a deporre un fiore sul luogo dell’agguato perché gas e export italiano a parte, il dialogo con il presidente russo è indispensabile per venire a capo del pasticcio libico. Come del resto Hollande e Merkel che con la Russia invocano e cercano il dialogo.

 

La linea dura di Londra è tanto più rimarchevole, se si considera che l’arrivo di David Cameron a Downing Street era stato visto da molti analisti nella chiave di una svolta filo-Putin. Ad esempio David Clark, presidente della Russia Foundation, aveva parlato di un “mini-reset”, in cui gli interessi economici avrebbero avuto il sopravvento su strascichi legati a vicende come il caso di Alexander Litvinenko, l’ex-agente del Kgb che a Londra era stato avvelenato a morte con polonio 210 dopo aver accusato il leader russo di aver realizzato un’ondata di attentati attribuiti ai ceceni apposta per consolidare il suo potere. O quelli dell’oligarca Boris Berezovsky e del separatista ceceno Akhmed Zakayev, cui il Regno Unito ha concesso asilo malgrado le richieste di estradizione arrivate da Mosca. “È questo il business rampante del Regno Unito oggi”, aveva scritto il New York Times, “lavare i miliardi sporchi degli oligarchi, lavare le loro reputazioni sporche”. Se infatti sono soltanto due le società russe sul listino della Borsa di Wall Street, in vent’anni le società dell’ex-Unione sovietica hanno raccolto 82,6 miliardi alla Borsa di Londra. Bp ha poi il 19,85 per cento delle azioni della Rosneft, da cui solo tra gennaio e luglio del 2014 ha guadagnato 2,3 miliardi di dollari. Londra per la sua forte presenza di ricchi russi è stata poi ironicamente ribattezzata “Londongrad” e il Partito Conservatore riceve ogni anno donazioni “russe” per un milione e mezzo di sterline, e una casa su dieci al di sopra dei 2 milioni di sterline di costo è stata acquistata negli ultimi anni dai russi.

 

John Sawers, uno che ha difeso la tortura come strumento per la lotta anti-jihadisti, ha invitato l’Europa a stare attenti a Mosca, sottolineando come non si debba“imparare a convivere con Putin”. Al di là degli interessi economici ci sono infatti gli interessi geopolitici e geostrategici, e fin dai tempi di Tommaso Moro gli inglesi hanno chiaramente identificato come un loro interesse geopolitico e geostrategico primario impedire che l’Europa potesse essere egemonizzata da una potenza ostile. Potenze agli estremi del Continente, Inghilterra e Russia hanno avuto talora interesse a allearsi contro chi questa egemonia voleva imporla dal centro: la Francia di Napoleone, la Germania di Guglielmo II e quella di Hitler. Ma quella visione “eurasiana” di cui è ad esempio un autorevole teorico Aleksandr Dugin e che in molti considerano alla base della politica estera di Putin si basa appunto sull’idea che per legare la Russia all’Europa bisogna estromettervi le Isole Britanniche. Per cui, come nel 1855 Londra decise di difendere la Manica in Crimea, nel 1914 in Belgio e nel 1939 in Polonia, adesso di nuovo ha scelto una linea di contenimento nel Donbass.     

 

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