Il nuovo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

Cattolico da paura

Maurizio Crippa

Che non sarà il XII imam, è chiaro. Battezzarlo bergogliano, sia pure per il “discernimento”, come ha fatto padre Spadaro, è troppo. Dal cattocomunista in giù, ne hanno dette fin troppe. Di festeggiare il ritorno della Dc poteva venire in mente solo a Formigoni.

Milano. Che non sarà il XII imam, è chiaro. Battezzarlo bergogliano, sia pure per il “discernimento”, come ha fatto padre Spadaro, è troppo. Dal cattocomunista in giù, ne hanno dette fin troppe. Di festeggiare il ritorno della Dc poteva venire in mente solo a Formigoni, forse perché al tempo della “ricomposizione dell’area cattolica”, assieme a padre Sorge, lui con i suoi amici c’era. Ma fu prima del Diluvio.

 

Domenica, 1° febbraio, era il quarantesimo anniversario dell’editoriale di Pasolini (1975) sulla “scomparsa delle lucciole”: l’Italia cattolica era già bella che morta allora, e non ritornerà. Per Pasolini, si sa, anche la Dc ebbe il suo ruolo nello spegnimento delle lucciole. A volte, gli anniversari illuminano davvero. Altro che gran ritorno. Il cattolico Sergio Mattarella, allora, che cattolico è, a chi può fare paura? Già è difficile dirlo, a quale dei cento riti del cattolicesimo (politico) italiano appartenga. Marco Damilano, sul suo blog, ha scritto cose intelligenti. Ad esempio, che se ne stava alla foresteria della Consulta, “la sua Santa Marta, come quella in Vaticano di Bergoglio”, perché anni fa aveva già detto cosa pensasse dell’occupazione del potere: “Un partito, un politico, nelle istituzioni si deve sentire ospite, anche se protagonista”. Poi bisogna fare un passo indietro. Alla stagione che preparò la Primavera di Palermo, quando gli amici di Mattarella erano i gesuiti del Centro Arrupe, che fu la base per la sua corrente isolana. Il suo punto di riferimento e sodale di immaginazione politica era padre Bartolomeo Sorge, gesuita e politologo che negli anni 80, direttore di Civiltà cattolica, sognò l’idea di una “ricomposizione dei cattolici”, ma purgata da tutti i vizi capitali, e poi fu il demiurgo, in coppia con Mattarella, del fenomeno Leoluca Orlando. (Anni dopo, li mandò, democristianamente, a quel paese). Un passo indietro ancora, e Mattarella negli anni del Concilio aveva vent’anni, studiava a Roma ed era responsabile degli studenti cattolici del Lazio. L’assistente di allora si chiamava don Filippo Gentiloni, futura firma del Manifesto (e zio di Paolo). Entrò in contatto con preti callejeri (diremmo oggi) come Luigi Di Liegro e don Alessandro Plotti, futuro vescovo pasdaran di Pisa. Quando arrivò la politica lui, moroteo per questioni dinastiche, i suoi riferimenti li trovò nella Lega democratica, tra gli Scoppola e gli Ardigò, con quei cattolici che attorno al No al referendum sul divorzio – in contrapposizione alla gerarchia cattolica e alla Dc e facendo molto soffrire Paolo VI – cercavano una via d’uscita dalla palude in cui stava affondando il cattolicesimo, sempre più in difficoltà nella società italiana.

 

[**Video_box_2**]Dialogo, laicità della politica, autonomia dalle gerarchie, “cultura della mediazione”, come si chiamava allora. Molti saltarono dall’altra parte della barricata, in senso politico ma pure ecclesiale. Lui restò cattolico, e moroteo. Cioè democristiano. Assoluta laicità della politica, per Moro, per il miglior pensiero politico cattolico vuol dire non assegnare alla politica alcuna facoltà di rivoluzioni, palingenesi, salvezze escatologiche. Niente Dossetti, in questo. E neanche Ruini, a dirla tutta. A chi fa paura “il ritorno” di un cattolico così? Ai suoi più o meno sodali confratelli del Pd? Al reprobo Berlusconi? Lui, che senza dubbio è antiberlusconiano di tipo etico, l’ha invitato (renzianamente) alla cerimonia dell’insediamento. Forse a due tipi di cattolici invece un po’ di fastidio darà. Da una parte proprio alla sinistra cattolica più estrema (oggi abbastanza in disarmo), terzomondista, pacifista, anti atlantista. Insomma quella che avrebbe preferito, non potendo più votare don Gallo, eleggere Romano Prodi (bisogna ricordare che, al tempo della guerra del Kosovo, il ministro della Difesa Mattarella era fieramente interventista e pro Nato. Prodi meno). Dall’altra, alla destra religiosa che nella mala parata attuale cerca di organizzarsi. Quella che considera Mattarella una iattura cattocomunista, proprio perché figlio della cultura della mediazione. Entrambi si troveranno davanti un presidente laico, cioè democristiano.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"