Alexis Tsipras, leader di Syriza, ha dichiarato guerra all’austerity. Ma il collasso dell’inefficiente settore pubblico greco ha indotto pure un salutare mutamento di pelle in alcuni imprenditori

Grecia, start up!

Marco Valerio Lo Prete

Graecia capta vs. selvaggio vincitore. L’avanzata degli anti Troika di Syriza non è l’unica conseguenza della lunga crisi. Ci sono dei barlumi di risveglio imprenditoriale nel paese (ex) turboassistenzialista. Prove tecniche d’innovazione nella “frappé economy” del paese investito dall’eurocrisi. Viaggio nella “Silicon Valley” di Atene.

Di ritorno da Atene. “La speranza sta arrivando”, è lo slogan che campeggia sui manifesti elettorali di Syriza, partito della sinistra radicale in testa a tutti i sondaggi per le elezioni politiche nazionali che si terranno domani in Grecia. A Bruxelles nessuno minimizza sull’incognita che presto si potrebbe palesare nell’Eurozona: una trattativa con un governo che, stando agli annunci, intende rivedere gli accordi con la Troika (composta da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) responsabile del programma aiuti-in-cambio-di-riforme-e-austerity, e che addirittura propone una significativa rinegoziazione del debito pubblico monstre. Soddisfare tali richieste – è il timore dei più ortodossi – equivarrebbe a inverare l’adagio del tempo dei romani per cui “Graecia capta ferum victorem cepit”, “la Grecia, conquistata, a sua volta conquistò il selvaggio vincitore”. Al di là delle conseguenze economiche, sarebbe un precedente politico di non poco conto. Che potrebbe incentivare processi di radicalizzazione in giro per l’Europa.

 

Difficile comunque che in queste ultime ore si sia invertita la tendenza di una crescita esponenziale di Syriza avviata nel 2004, quando il partito fu fondato dall’unione di alcuni movimenti minori. Alle elezioni politiche del 2007, Syriza ottenne il 5 per cento dei voti, una soglia confermata nel 2009; nel 2012 divenne poi il secondo partito politico del paese con il 12 per cento, approfittando del collasso dei socialisti del Pasok; alle elezioni europee dello scorso anno, infine, si è trasformata nel primo partito greco con il 26,5 per cento dei consensi, superando i conservatori di Nuova democrazia guidati da Antonis Samaras. Futuri incidenti parlamentari restano possibili; perché se è vero che il primo partito avrà diritto a un premio di maggioranza di 50 seggi (su un Parlamento di 300 eletti), ciò non esclude a priori la necessità di un’alleanza per raggiungere la maggioranza assoluta (151 eletti) utile a formare il governo. Alleanza con chi? Il leader di Syriza, il quarantenne Alexis Tsipras, ha già ristretto il campo delle possibilità: nessuna collaborazione con i partiti che dal 2010 hanno firmato gli accordi con la Troika. Poi ci sono i comunisti del Kke e gli estremisti di destra di Alba dorata che, pur avendo buone chance di superare lo sbarramento del 3 per cento, non vogliono alleanze con Syriza. Resterebbero solo i liberal-qualunquisti pop del nuovo partito To Potami. Già non si esclude la ripetizione del voto nel caso di lungaggini eccessive; andò così infatti nel 2012. Certo è che domani sarà premiata la piattaforma anti austerity di Syriza, temperata da robuste iniezioni di realismo praticate negli ultimi mesi dai vertici del partito (l’uscita dall’euro non viene più minacciata, e nemmeno la volontà di decisioni unilaterali sul debito), e unita soprattutto a una fisiologica volontà di alternanza rispetto al governo conservatore.

 

Sui volantini distribuiti dai militanti di Syriza in piazza Klafthmonos – in un grande tendone sorto due settimane fa sulla strada che collega le due principali piazze di Atene (Syntagma e Omonia) – la foto di sfondo è una saracinesca abbassata con il lucchetto serrato che la tiene chiusa. Ad Atene, dove vivono oltre 3 milioni degli 11 milioni di cittadini greci, circa un negozio su tre ha chiuso dall’inizio della crisi scoppiata nel 2010, quando il paese ha perso anche l’accesso ai mercati internazionali e ha cominciato a ricevere fondi dalla Troika. Però, da qualche mese l’encefalogramma dell’economia greca – che ha perso il 25 per cento del pil dal 2009 a oggi – non è più piatto.

 

Non c’è soltanto l’avanzo primario dello stato centrale celebrato dalle istituzioni europee come segno di una rinnovata serietà sulla gestione dei conti pubblici, dopo che nel 2009 si scoprì all’improvviso che il rapporto deficit/pil aveva raggiunto il 15 per cento. Né c’è soltanto il dato del pil leggermente positivo per l’anno in corso che il premier uscente Samaras va ripetendo a ogni comizio. Si prenda proprio il caso dei negozi al centro della propaganda di Syriza. Ad Atene, per esempio, nel 2014 è diminuito per la prima volta il numero di saracinesche abbassate. I cartelli con su scritto “Enoikiazetai”, cioè affittasi, sono ancora ovunque; si calcola infatti che circa un esercizio commerciale su tre abbia chiuso dall’inizio della recessione. Il colpo d’occhio in alcune strade è impressionante e tetro, specie in quartieri come Exarchia, noto per la sua tradizionale presenza di militanti anarchici, dove il 34,6 per cento dei negozi ha chiuso, secondo la Confederazione nazionale dei commercianti greci. Altrove però, per esempio nelle strade più centrali tra piazza Syntagma e piazza Omonia, la percentuale è scesa sotto il 25 per cento. I commercianti sono concordi: dietro la relativa boccata d’ossigeno c’è un miglioramento della fiducia dei consumatori nelle prospettive future del paese. Con un tasso di disoccupazione al 25,8 per cento, poco più in basso del picco record del 28 per cento raggiunto nel settembre 2013, si tratta davvero di fiducia ben riposta? Molto dipenderà dall’evoluzione del contesto europeo, perciò le previsioni sono difficili da farsi.

 

Tuttavia è innegabile che significativi cambiamenti, non sempre nella direzione peggiore finora esaltata dal circuito mediatico internazionale, siano avvenuti in questi anni anche nel paese più colpito dalla crisi. Un indizio si può trovare in una palazzina a vetri di quattro piani, tra piazza Omonia e il Politecnico di Atene, che negli anni 90, quelli del boom della Borsa, era la sede di una società di trading finanziario poi fallita. Oggi nella stessa palazzina c’è “The Cube”, uno spazio di coworking che ospita quasi 40 start-up tecnologiche, oltre a una serie di eventi aperti al pubblico. Fin dai primi anni 2000, nel paese, sono presenti alcune società tecnologiche, specialmente nel settore della messaggistica mobile, come Upstream, Velti, InterneQ, con base operativa in Grecia e capacità di esportare  anche all’estero. “Eccezion fatta per questo manipolo di gruppi più consolidati, non c’era molto. Adesso però le cose stanno cambiando – dice al Foglio Aristos Doxiadis, classe 1951, partner del fondo di venture capital Openfund che incontriamo nei suoi uffici all’ultimo piano di “The Cube” – L’imprenditoria individuale in settori di frontiera è una nuova realtà che sta iniziando a fiorire nel paese. In qualche modo questa è senza dubbio una conseguenza della crisi. Prima le persone con una buona formazione accademica, soprattutto in materie scientifiche, sarebbero andate a lavorare nella Pubblica amministrazione o avrebbero cercato di restare nell’università. Nello stato c’erano buoni stipendi, pensioni sicure e spesso facilmente raggiungibili, oltre alla possibilità di lavorare fino al primo pomeriggio e poi arrotondare con altre attività, magari al nero. Oggi tutte quelle opportunità nella Pa non ci sono più”. Come ha ricordato il politologo dell’Università della Macedonia Takis Pappas in un’intervista al Foglio, “nel 2009, all’inizio della crisi, in Grecia c’erano oltre un milione di persone alle dipendenze dello stato, il 22 per cento della forza lavoro. In tre decenni di regime democratico-populista, il settore pubblico dell’economia è raddoppiato per misura, mentre la popolazione è cresciuta soltanto dell’8,4 per cento nello stesso periodo”.

 

Oggi questa palazzina ad Atene incarna un modello di crescita economica opposto, per quanto consapevolmente minoritario.
Openfund ha una potenza di fuoco di 12 milioni di euro, per il 70 per cento ottenuta da fondi strutturali europei del programma Jeremie e per il resto da fondi privati. Questo è soltanto uno dei quattro fondi nati dopo lo stanziamento di 49 milioni di euro del programma Jeremie, affiancati da 21 milioni provenienti da privati. “Per fortuna il governo greco ha deciso che tali fondi pubblici, oltre a poter cooperare con capitali privati, non fossero gestiti dalle autorità greche ma in base alle regole del Fondo d’investimento europeo”, ci dice Doxiadis. “Oggi il nostro è uno dei quattro fondi che si è avvantaggiato di questa opportunità. Sui progetti che riteniamo validi investiamo cifre che vanno dai 50 ai 700 mila euro. Poi li sosteniamo nella fase progettuale e quindi nella ricerca di nuovi capitali privati”. Nel complesso questo tandem pubblico-privato ha finanziato la creazione di 38 società, tutte nel settore dell’information technology, creando 320 posti di lavoro. Una goccia nel mare della forza lavoro greca. Che diventa però più consistente secondo i dati dell’organizzazione no profit Endeavor: nel 2010 tutte le start-up innovative del paese erano 16, nel 2014 sono diventate 144.

 

“La crisi del vecchio modello economico greco ha aumentato certamente l’interesse in attività come le nostre – dice al Foglio Georgios Gatos, uno dei fondatori della start-up Incrediblue che ha sfruttato spazi e fondi trovati nel Cube – Poi ci sono altri aspetti da tenere presenti e che sono stati vitali, come la creazione di strumenti di finanziamento pubblico-privato, per esempio il programma Jeremie, che hanno reso possibile per gli imprenditori trovare risorse iniziali per sviluppare i propri progetti”. Incrediblue è un’impresa che finora ha ricevuto 600 mila euro tra finanziamenti pubblici e privati; il suo obiettivo è creare un “marketplace”, quindi un luogo in cui sia possibile scambiare soprattutto per via telematica, per il noleggio di yacht privati, barche a motore e barche a vela. Tale piattaforma è partita dalla Grecia, ma è concepita per essere utilizzata altrove, ed è a quel punto che potrà diventare profittevole. Nel piano di Gatos, questo accadrà tra due anni. “Contemporaneamente sono scesi i costi da affrontare per fondare e gestire una società del genere nel settore dell’information technology”. Ci sono infatti recenti riforme che, pur non avendo conquistato le prime pagine della stampa internazionale, hanno reso più facile il classico processo di “distruzione creatrice” nel tessuto imprenditoriale: le minore scartoffie burocratiche da presentare per aprire una società, specialmente per quelle aziende le cui attività non hanno impatto ambientale significativo; la possibilità, per imprese e cittadini, di svolgere online quasi tutte le operazioni di pagamento delle tasse; inoltre, per un datore di lavoro che avesse voluto cambiare gli orari di turnazione dei dipendenti, prima era necessario presentare una richiesta con sei mesi d’anticipo agli ispettori del lavoro, oggi si può fare in una settimana. “A fronte di tutto ciò, però, le tasse si sono alzate. Inoltre i cambiamenti legislativi sono stati così tanti e sono avvenuti in così poco tempo che spesso anche gli avvocati del lavoro e i commercialisti fanno fatica a starci dietro. Noi imprenditori e finanziatori avremmo bisogno di tempo per adeguarci al nuovo regime, è normale che sia così. A patto che dopo le elezioni non cambi tutto di nuovo”, dice Doxiadis.

 

Yiorgos Nikoletakis un anno fa è tornato in Grecia, dopo cinque anni di studio e lavoro nel settore finanziario negli Stati Uniti, per fondare la sua impresa tecnologica. La start-up si chiama “100 Mentors”, dalla metà dello scorso anno ci lavorano otto persone a tempo pieno, divise tra il Cube di Atene e un ufficio a Londra ottenuto grazie a un bando della London Business School. “Ci eravamo resi conto che, soprattutto nel nostro paese, esiste un gap enorme tra il mondo della formazione e quello del lavoro – dice al Foglio Nikoletakis in perfetto inglese – Perciò abbiamo creato una piattaforma alla quale chiunque può rivolgersi nel caso intenda avviare un nuovo percorso professionale. Noi reclutiamo infatti mentori in giro per il mondo, tra i professionisti migliori nei rispettivi settori o nelle società più richieste, offriamo agli utenti la possibilità di contattare i mentori più adatti e poi agli stessi mentori la possibilità di ‘vendere’ il loro tempo a disposizione. Oggi abbiamo talmente tante richieste da candidati-mentori che non siamo riusciti ancora a smaltire tutte le application attraverso il processo rigoroso che ci imponiamo”. Siete già profittevoli? “Già da mesi siamo in grado di sostenere tutti i nostri costi attraverso i ricavi, ma grazie ai fondi ricevuti in questa fase possiamo dedicarci al rafforzamento del progetto”, risponde Nikoletakis.

 

[**Video_box_2**]Quasi tutte le start-up tecnologiche ospitate dal Cube ad Atene, tra l’altro, usano la Grecia come “test-market”, dopodiché puntano a entrare nei mercati esteri. E’ appunto il caso di Incrediblue, che ora per esempio ha anche una versione per l’Italia, di 100 Mentors o di altre più note come Taxi Beat che ha ricevuto finanziamenti privati internazionali per quasi 8 milioni di euro, è utilizzatissima in Perù e sta sbarcando in Brasile. Imprenditoria privata, in settori ad alto valore aggiunto, slegata da relazioni parassitarie con lo stato greco e dedita alle esportazioni. “Esattamente il contrario della ‘frappé economy’ che è comunemente associata alla Grecia”, dice Doxiadis. Il riferimento è alla nota bevanda del paese, a base di caffè istantaneo raffreddato e shakerato: “Allo stesso modo si dice che la nostra economia fornisce in larga parte servizi a basso valore aggiunto e facili da reperire, legati al divertimento e al turismo. Non sarà un’immagine molto accurata, ma contiene tante verità”. Negli ultimi trent’anni, soprattutto per ragioni istituzionali e sociali, nel paese sono cresciuti infatti tutti i servizi pubblici non affidati a criteri di mercato, e poi quei servizi privati non commerciabili a livello internazionale come piccoli negozi, avvocati, medici e parrucchieri. E’ anche con le carenze di un apparato industriale abituato alla concorrenza che si spiega la deriva in quella che Doxiadis chiama “rentrocrazia”.

 

“Il dibattito elettorale purtroppo si è concentrato sul debito pubblico, che oggi ha superato il 170 per cento del pil, sull’austerity e sui rapporti tra Atene e Bruxelles. A sinistra e a destra non si è discusso quasi per niente di come modificare il nostro modello produttivo”, dice al Foglio Angelos Tsakanikas, professore di Economia al Politecnico di Atene e direttore della ricerca presso Iobe, il più importante think tank privato del paese. “Questo tipo di dibattito è anche figlio degli errori della Troika. La comunità internazionale ha insistito su un’agenda troppo ampia e variegata di riforme, una specie di lista della spesa. Concentrandosi su poche ma decisive priorità, invece, il processo di implementazione delle riforme sarebbe stato seguìto con maggiore attenzione e i problemi di sostenibilità politica sarebbero stati ridotti”. Secondo Tsakanikas, “i fondamentali dell’economia sono comunque migliorati rispetto al 2009. Ora il bilancio pubblico è in pareggio tra entrate e uscite, al netto degli interessi sul debito pubblico. Il paese ha ripreso a crescere, seppure di poco. Non abbiamo bisogno né di ulteriori strette sui conti pubblici, come pare chiedere la Troika, né di tornare al vecchio status quo con nuove assunzioni nella Pubblica amministrazione e ulteriore spesa pubblica in assenza di un qualsiasi meccanismo di valutazione, come sembra volere Syriza”. La Grecia è ancora su un crinale. La classe politica locale, così come quella europea, dovrebbe pensarci bene prima di farla scivolare in una direzione o nell’altra.
 

 

Qui le puntate precedenti del reportage dalla Grecia

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