Uomini delle forze speciali francesi impegnati nella caccia all'uomo a nord est di Parigi

La caccia ai sospettati della strage al Charlie Hebdo svela i troppi buchi dell'intelligence francese

Daniele Raineri

Ieri la polizia francese e i reparti speciali hanno concentrato le ricerche dei due sospettati per il massacro in una vasta area a nord-est di Parigi.

Roma. Ieri la polizia francese e i reparti speciali hanno concentrato le ricerche dei due sospettati per il massacro nella redazione di Charlie Hebdo in una vasta area a nord-est di Parigi, soprattutto attorno alla piccola città di Corcy. Si tratta di una battuta di caccia all’uomo che procede con lentezza, casa per casa e giardino dopo giardino, come se ci fosse soltanto un’indicazione generica di dove cercare.

 

I due uomini sospettati per l’attentato sono Said e Chérif Kouachi, fratelli di origine algerina che in passato avevano già avuto problemi per i contatti con gruppi estremisti islamici. Il più piccolo fu arrestato nel gennaio 2005 perché faceva parte del cosiddetto “gruppo del 19 arrondissement”, una rete di non più di cinquanta persone che tentava con alterni successi di inviare volontari per combattere in Iraq, passando da Damasco e dal confine siriano. Fece 18 mesi di carcere e altri 18 gli furono condonati con la condizionale. Un membro dello stesso gruppo, Boubaker Hakim, è comparso adicembre in un video dello Stato islamico ed è ricercato in Tunisia per l’assassinio di due politici, ma è presto per capire chi rivendicherà l’attentato di Parigi.

 

I dodici morti e la qualità militare dell’attacco riaprono una questione che non si è mai chiusa a partire dal 2012, e riguarda la capacità dei servizi di sicurezza francesi di controllare i cittadini che hanno idee pericolose o contatti con gruppi pericolosi e la possibilità di prevenire gli attentati. Nel marzo di tre anni fa un giovane di Tolosa, Mohammed Merah, ammazzò sette persone in tre attacchi diversi prima di essere ucciso dalla polizia alla fine di un assedio breve al suo appartamento. Merah aveva già avuto contatti con i servizi francesi, che avevano anche considerato di reclutarlo come informatore (anche se poi sostennero di averlo scartato). I servizi ebbero con lui un atteggiamento permissivo e passarono sopra al fatto che il giovane fosse scomparso per mesi in Pakistan – dopo si scoprì che era stato addestrato nel campo del gruppo Jund al Khilafah, soldati del califfato  – e si fosse fatto arrestare in Afghanistan durante un viaggio precedente. Ai poliziotti che l’assediavano, Merah disse che uno dei suoi prossimi bersagli sarebbe stato – se avesse potuto – l’ufficiale dei servizi segreti che aveva avuto l’incarico di tenere i contatti con lui (all’epoca si disse fosse una giovane di origine araba).

 

A maggio scorso c’è stato il caso dello sparatore del centro culturale ebraico di Bruxelles, quattro morti, arrestato a Marsiglia ma soltanto per un caso: la polizia controllò il suo borsone in cerca di droga – veniva dal nord – e trovò un fucile d’assalto kalashnikov e una bandiera dello Stato islamico. A marzo era tornato dalla Siria, e secondo una notizia non ancora confermata anche i fratelli Kouachi hanno combattuto là, assieme a un gruppo jihadista non ancora identificato (la polizia sa, perché ha trovato le bandiere nella macchina abbandonata). Di certo c’è che Chérif Kouachi, che in teoria era un sorvegliato speciale, ha messo le mani su un fucile d’assalto.

 

[**Video_box_2**]Dopo il caso Merah le due agenzie di intelligence francesi (una per l’interno e una per l’esterno) entrarono in una fase di revisione, culminata con la sostituzione del capo Bernard Squarcini (dei servizi interni, dovuta però a un altro caso: fu accusato di agire come il capo di una polizia politica a favore del presidente Nicolas Sarkozy). E’ stata una fase di scossoni. C’è stato un litigio tra servizi esteri e il ministro della Difesa, Yves Le Drian, che avocò a sé le trattative su alcuni ostaggi. C’è stata pure una purga interna, all’inizio del 2014, contro una decina di funzionari accusati di cattiva gestione.

 

A maggio dell’anno scorso c’è stata una riorganizzazione: i servizi interni hanno cambiato nome, sede e inquadramento. Sono passati alle dipendenze dirette del ministero dell’Interno, invece che essere un dipartimento speciale della polizia (con meno libertà d’azione) e hanno avuto un centinaio di specialisti in più. Gli ufficiali di collegamento tra le due agenzie, estero e interni, sono stati tagliati a favore di uffici in comune e di una piattaforma informatica condivisa, che dovrebbero consentire alle informazioni di circolare più rapidamente – soprattutto quelle, è stato detto al momento della decisione, che riguardano i jihadisti di ritorno dalla Siria. Oggi non c’è più bisogno di portare fisicamente le intercettazioni o altro materiale da un palazzo all’altro. Il ministro dell’Interno, Manuel Valls, ha anche creato nel 2014 un nuovo servizio segreto, più territoriale, anche per avere un controllo maggiore sui jihadisti nazionali. Per ora non basta.

 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)