Il regno di Re Giorgio è finito. Corsa al Quirinale? Leggere Stephen King

Mario Sechi

Londra, un freddo giorno di vento e pioggia, faccio colazione al May Fair Hotel, sfoglio il Financial Times e incontro lui, Re Giorgio. E’ il 26 aprile del 2013, il capo dello stato è impaginato come “il presidente riluttante”, ritratto di un’Italia uscita malconcia dalle urne.

Londra, un freddo giorno di vento e pioggia, faccio colazione al May Fair Hotel, sfoglio il Financial Times e incontro lui, Re Giorgio. E’ il 26 aprile del 2013, il capo dello stato è impaginato come “il presidente riluttante”, ritratto di un’Italia uscita malconcia dalle urne. Tra le macerie fumanti, un solo punto di riferimento, Napolitano. “Il mio comunista preferito” per Henry Kissinger, versione corretta dal presidente in “ex comunista preferito”. Il regno di King George continua.

 

Roma, una voce echeggia nel Salone dei Corazzieri: “La fine del mio mandato è imminente”. Flash. Di fronte al corpo diplomatico riunito al Quirinale per gli auguri di fine anno, le parole di Napolitano suonano come un The End al cinema. Sono le 11 e 25 del 18 dicembre 2014, è la settimana del lungo addio del presidente, scandita da appuntamenti che sembrano la sceneggiatura di un film sulla lotta tra il dovere e il volere, l’essere e il potere. Il tempo di Re Giorgio è finito.

 

Intorno a lui, un corteo d’ombre che applaudono, fischiano e cercano il successore come rabdomanti a caccia d’acqua nel deserto. “Non sono preoccupato, questo Parlamento è in condizione di eleggere il presidente della Repubblica, quando sarà il momento” assicura Matteo Renzi domenica 14 dicembre. Sempre ottimista, il premier. Forse troppo, perché il suo alleato, Angelino Alfano, lunedì 15 dicembre puntualizza: “Serve una personalità senza spillino di partito”. Mission to Mars. Intanto al Quirinale arriva John Elkann, ultimo saluto anche per il presidente di Fiat-Chrysler, mentre il mezzo corazzato della divisione Renzi, Maria Elena Boschi, annuncia il metodo cingolato: “Il Partito democratico sceglierà un nome al proprio interno che poi presenterà agli altri”. Martedì 16 dicembre s’apre con l’India che continua nella diplomazia del no sul caso Marò. Il governo la prende malissimo, Gentiloni s’arrabbia, la Pinotti mette l’elmetto, Napolitano è “fortemente contrariato”, la crisi con l’India tocca il suo picco sismografico. Sono le 17, è l’ora dell’incontro al Quirinale con le alte cariche dello stato. Mentre scorrono i titoli di coda, King George scuda il governo: “Non si attenti alla continuità del nuovo corso politico. Il paese è attraversato da discussioni ipotetiche su elezioni anticipate, solo tempo e inchiostro che si sottrae all’esame dei problemi reali anche politici sul tappeto”. Renzi coglie al volo la palla: “Un discorso di grande respiro, di grande livello”. Tutti a nanna.

 

[**Video_box_2**]Mercoledì 17 dicembre il premier va a pranzo al Quirinale. Il menù prevede l’esame del Consiglio europeo di Bruxelles, ma a pochi isolati di distanza, la cucina del Mattinale guidata dallo chef Renato Brunetta ha appena sfornato un manuale da trincea dove Napolitano è descritto come “il dominus di tutto l’ambaradan, il Timoniere da cui promanano le rimanenti funzioni, e cioè il Segretario Politico del Partito”. Moderati. C’è tensione tra Forza Italia e Pd sull’incrocio tra riforme e nuovo capo dello stato: cosa si fa prima? Si rimette in moto la colonna meccanizzata della Boschi: “Il calendario prevede che l’8 gennaio saremo in Aula alla Camera con la riforma costituzionale e contemporaneamente al Senato procediamo con la legge elettorale”. Il Quirinale? Verrà dopo, non c’è fretta. E soprattutto non c’è ancora un nome che possa prendere i voti. E’ venerdì 19 dicembre, Emanuele Macaluso su Repubblica entra in zona thriller: “Sarà una situazione incandescente, l’elezione per il presidente della Repubblica più caotica che ci sia mai stata”. Nota finale sul taccuino, libri di Stephen King da rileggere: “A volte ritornano”, “Incubi e deliri”, “Scheletri”.

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