La vendetta dei talebani a Peshawar

Daniele Raineri

Ieri una squadra di sei uomini ha assaltato la scuola dei figli dei militari, almeno 145 morti. “Pronti a una lunga guerra contro lo stato”.

Roma. Ieri alle dieci del mattino una squadra di sei uomini con addosso le divise nere e rosse della Guardia di frontiera è scesa da un furgoncino, gli ha dato fuoco ed è entrata in un cimitero a poche decine di metri dalla Grand Trunk Road, la strada camionale che taglia a metà la città di Peshawar nel nord del Pakistan e pochi chilometri (e molta coda nel traffico) più in là entra in Afghanistan. La città è sospesa tra i due paesi e fa da retrovia per i combattenti afghani fin dagli anni Ottanta, ma da questa parte del passo Khyber comandano i talebani pachistani, che a differenza di quegli altri combattono una guerriglia infinita contro il governo nazionale e l’esercito di Islamabad. “Non abbiamo capito cosa stessero facendo, abbiamo anche pensato a uno scherzo di ragazzi, fino a quando non abbiamo sentito gli spari”, hanno detto poi alcuni testimoni.

 

Quelli che prendono parte a queste squadre suicide usate negli attentati in Pakistan sono chiamati feddayn, che è una parola presa in prestito dall’arabo. I talebani nazionali hanno mandato una squadra di nove feddayn quando a metà 2012 hanno attaccato la base aerea di Kamra – dove il governo custodisce armi atomiche (senza ammetterlo, per scelta politica); hanno mandato una squadra da dieci quando a giugno hanno attaccato l’aeroporto internazionale di Karachi – il più grande del paese. Ieri hanno mandato sei feddayn contro la Army public school locale, un bersaglio più piccolo, senza difese, frequentato da quasi millecinquecento studenti minorenni, gestito dall’esercito (che in Pakistan si occupa di molte attività che in teoria non sono di sua competenza, come industrie e catene di panetterie).

 

La squadra è arrivata all’altro capo del cimitero, ha scavalcato il muro di cinta, è entrata nella scuola e un feddayn si è fatto subito saltare in aria nella palestra centrale, dove era in corso una dimostrazione di pronto soccorso. Gli altri hanno cominciato a passare di classe in classe e di corridoio in corridoio, uccidendo alunni e professori.

 

Gli studenti raccontano alle tv e ai giornali che i terroristi non parlavano urdu, la lingua locale, ma arabo, e che  il massacro è andato avanti per quasi cinque ore, fino a quando i soldati arrivati sul posto hanno ucciso anche l’ultimo elemento della squadra. Il numero dei morti per ora, secondo Reuters, è fermo a 145. Si tratta di un attentato disastroso in un paese che ha già conosciuto attacchi gravi.

 

Un portavoce dei talebani pachistani, Muhammad Omar Khorasani, ha chiamato ad attacco in corso le agenzie per rivendicare la strage e spiegare che è una rappresaglia per le operazioni dell’esercito in corso nel Waziristan del nord. “Vogliamo che provino lo stesso nostro dolore”, ha detto, e ha aggiunto che i terroristi – “in contatto con noi” – avevano l’ordine di risparmiare i più piccoli, gli alunni sotto l’età della pubertà. Secondo i dati finali forniti dalla scuola, tutti gli studenti morti sono sotto i sedici anni.

 

Khorasani è un alias, vuol dire “che viene da quell’area centroasiatica che comprende l’Iran, l’Afghanistan e il Pakistan”. E’ diventato portavoce dei talebani pachistani nella prima settimana di novembre al posto del predecessore, Shahidullah Shahid (“martire di Allah”), cacciato per avere giurato fedeltà ad Abu Bakr al Baghdadi, il capo iracheno del gruppo dello Stato islamico.
Il primo ministro Nawaz Sharif è arrivato dalla capitale e ha annunciato al paese che le operazioni militari continueranno, con un atteggiamento deciso che stupisce chi è assuefatto ad anni di politica ambigua con i talebani. 

 

[**Video_box_2**]Samir Yousafzai, un giornalista pachistano che lavora per Newsweek, ha raggunto al telefono uno dei suoi contatti tra i talebani pachistani, il comandante Jihad Yar Wazir (anche questo nome suona come un programma: jihad è la guerra santa in nome dell’islam, Wazir è uno dei due clan più potenti delle aree tribali di frontiera) e si è sentito rispondere che “il movimento talebano del Pakistan è pronto a una lunga guerra contro lo stato, fantoccio degli americani. Abbiamo dovuto cambiare basi, ma possiamo ancora attaccare dove vogliamo”. Jihad dice che “i genitori degli studenti di quel college sono militari e sono responsabili dell’uccisione di massa dei nostri bambini e dei bombardamenti indiscriminati nel sud e nel nord Waziristan. Colpendoli proprio dove si credono sicuri, questo attacco è stato una vendetta perfetta”. Ma i bambini sono innocenti, ha risposto Yousafzai. “E allora i nostri bambini e i nostri ragazzi? Quelli sono i figli dell’esercito pachistano, appoggiato dall’America, e avrebbero dovuto fermare i loro genitori dal colpire le nostre famiglie e i nostri bambini. Quei bambini sono innocenti perché indossano un gilet e una cravatta?”. Questa risposta suona come una crudele aberrazione – i bambini dovevano fermare i genitori? –  e si basa su un errore di fatto perché la scuola gestita dall’esercito non è esclusiva dei figli di militari ed è aperta agli studenti civili.

 

Dopo l’attacco all’aeroporto internazionale di Karachi agli inizi di giugno, il governo pachistano ha cominciato un’offensiva nelle regioni di frontiera controllate dai talebani chiamata Zarb-e-Azb, che in lingua urdu è “colpo affilato e tagliente” e anche il nome di una spada usata in battaglia dal profeta Maometto. Si tratta di un’operazione chiesta invano dagli americani negli anni scorsi, e che ora secondo il generale americano Joseph Anderson sta producendo risultati, fino a “spaccare il gruppo Haqqani”, la fazione più pericolosa della guerriglia. Ci sono conseguenze pesanti però sui civili, sotto ai bombardamenti. Ad agosto il primo ministro Sharif aveva garantito che la rappresaglia talebana sarebbe stata debole, ma si sbagliava.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)