Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Caro Cav., decida: con Renzi o no

Giuliano Ferrara

Il premier è il suo migliore prodotto, avete gli stessi nemici, ha rottamato coloro che lei aveva destabilizzato. Gli chieda di dare battaglia in Europa, lo incalzi, lo prenda anche a pedate. Ma non resti in mezzo al guado.

Cavaliere, si decida. O sta con Matteo Renzi o no. O si fa padre delle riforme o no. Non resti a bagnarsi fino alla cintola in mezzo al guado. E’ un esercizio pericoloso, è la via del mezzo detestata da Machiavelli. Lei ha detto: ha la metà dei miei anni. Dichiarazione impegnativa. Ha detto: le sue ricette sono le mie. Giudizio notevole. Ha stretto un patto per modificare l’architettura del sistema, legge elettorale con ballottaggi, ultrabipolare e maggioritaria, abolizione del carattere replicante del Senato della Repubblica, con una sola Camera che dà e toglie la fiducia ed è elettiva di primo grado. Lei cerca ma non trova un Renzi del suo ambiente, della parte d’Italia che si è fatta rappresentare da lei, nel culmine e nella fase discendente della sua parabola. E forse non lo vuole nemmeno, lo scanserebbe se ci fosse (e non c’è). Da uomo laser qual è, lei ha capito che a sinistra si è prodotta un’anomalia fatale, che il potere nel Pd e nel paese lo ha preso uno al quale non si attaglia la piattaforma dell’anticomunismo, dell’anticlassismo liberale. Uno diverso dal Letta nipote, che era già nelle mani dei circoli dell’establishment più fiacco del mondo e ha avuto il coraggio di pensare che Berlusconi si potesse sostituire con Alfano, così, da un momento all’altro. Lei sa perfettamente che lo scout velociraptor, il nuovo fidanzato d’Italia al quale già tirano come a lei le uova e le bombe carta nel solito empito di gelosia e invidia sociale, che è già insignorito del privilegio di nuovo Uomo Nero, è la fine di una certa idea di sinistra, e anche di una certa idea di destra.

 

Cavaliere, lei lo sa. Renzi è pieno di difetti, come certi tenori o baritoni, nella sua ugola passa un sacco d’aria, il canto è spesso imperfetto, ma chi non ha difetti, a parte lei? Chi altri può dire come lei ha fatto: “Sono invincibile”? (Ironia). Lei sa che l’Euroburocrazia e la Germania sono avversari di questo tipo di cambiamenti, specie se arrivano dall’Italia indebitata e vanno contro la “carne troppo grassa della Germania” (è una vecchia definizione del poeta maledetto Jean Gênet). Che la battaglia è spessa, difficile. Che nel fondo, malgrado le differenze analizzate ieri in modo magistrale da Pietro Ichino su questo giornale, una vocazione maggioritaria la politica del Nazareno ce l’ha, è realistica. Tra la sua gente, tra i suoi quadri, chi per un verso chi per l’altro, in molti non ci stanno, strepitano, boicottano, protestano, si mescolano con il referendum sulle pensioni di Salvini, con la firma incredibile che vi ha apposto la scioperaiola Camusso, con gli orrori degli intellettuali che la volevano arrestare quando era a Palazzo Chigi (ricorda Asor Rosa, che chiamava i carabinieri sul quotidiano comunista il manifesto? ha presente Rodotà-tà-tà?); lei sa che quel perfido guitto che ha pasticciato con i suoi vaffanculo e la chiama psiconano è della partita dei nemici del premier, nemici giurati, come il grosso del partito dei magistrati. Ma lei sa anche che l’eterna lotteria italiana per conquistarsi il voto antipolitico, alla quale lei ha partecipato ma da re, da unto del Signore, da protagonista assoluto sia dell’anti che della politica, è priva di ogni prospettiva, può distruggere ma non può costruire, è frutto del malanimo incrociato della peggiore sinistra e della peggiore destra, tutti abbiamo nostalgia di un Bossi (senza figli) e perfino di quei fascistoni rifatti che non sparavano le bellurie risibili di una Meloni e di un ’Gnaziu La Russa.

 

E allora. Si tolga d’intorno l’incertezza. La volubilità. La tentazione di riprendersi il suo contro Renzi, quando il suo è nell’eredità trasmessa a Renzi e nella sua stessa capacità di far capire agli italiani che c’è una sana continuità politica, che i cambiamenti introdotti da lei nel sistema sono ora riprodotti nella nuova congiuntura da una politica nazionale, che ha due varianti ma una convergente tendenza nell’alleanza del vecchio e del giovane leader. Solo così arriveranno i voti, non molti ma sicuri, “quelli che non si contano ma si pesano” (Enrico Cuccia). Solo così si uscirà dall’eterna querelle determinata dall’immobilismo che tutto divora sotto la specie del movimentismo massimalista. L’articolo 18 è roba sua come di Matteo. La critica del conservatorismo delle corporazioni e dei sindacati, la diffidenza verso le burocrazie, tutto questo è il meglio del berlusconismo iniettato nelle vene del patto del Nazareno, l’atto che ha reso possibile e credibile questa nuova fase. Lei non può ragionevolmente intitolarsi tutto questo e disconoscerlo a giorni alterni. Non può tenere i suoi a far niente, dunque ad aspettare di prendere qualche voto sulla scia dell’opposizione antagonista della Camusso, di Grillo e delle consorterie della vecchia sinistra protestataria, illusione delle illusioni.

 

[**Video_box_2**]Cavaliere, lei ha un dovere verso sé stesso, verso il suo passato, verso il presente della sua leadership inutilmente contestata da tanti, in modo petulante e falsamente amichevole, verso la situazione concreta del suo mondo e del mondo di tutti, della nazione italiana. Questo dovere è chiaro: chiedere a Renzi più radicalità sulla via già imboccata, non rimboccargli le lenzuola ma spingerlo, aiutarlo, consigliarlo, incalzarlo e divorare la strada da fare insieme con lui e in alternativa a lui. Sono i paradossi felici e creativi della buona politica. Invece l’entra-ed-esci, l’irresolutezza, la clandestinizzazione del Nazareno, il tentativo di tenersi pigramente a vecchie piccole e declinanti certezze può esserle fatale. Renzi è il suo migliore prodotto, a condizione che lei non ne disconosca il valore e non lasci la presa sul futuro. Lei ha eliminato uno a uno i suoi detrattori e rivali nella storia della sinistra italiana, ha cominciato a lavorarli ai fianchi quando Renzi era il bambino Matteo. Lei ha destabilizzato coloro che poi Renzi ha rottamato, con un forte trasversalismo sociale, prendendosi i voti, il consenso di un’Italia popolare che si è ritrovata nelle magari confuse parole d’ordine della libertà; lei ha un primato di forma che è sostanza, le Leopolde che Landini vuole asfaltare con le lotte di massa (“leopolde, cazzate!”) non sarebbero state possibili senza le sue convention politiche e di marketing; l’uso referendario della televisione lo ha inventato lei; il sorriso ce lo ha messo lei, come l’ottimismo e un certo individualismo del talento o del merito. E adesso non si può tirare indietro per giocare con le freccette come le propongono politici di serie B allevati nel suo cortile, che hanno becchettato il suo mangime senza mai portare alcun “nutrimento al cervello del Principe” (Antonio Gramsci). Ci dia dentro, esca allo scoperto, non stia lì a vacillare per qualche percentuale in Calabria, per la minaccia di quell’uomo povero di mezzi e forte di gola che è il Salvini, si tiri fuori dall’ennesima adunata dei refrattari, che sono gli stessi che l’hanno combattuta a forza di colpi bassi. Dia retta, Cavaliere, chieda a Renzi di dare battaglia seria in Europa, di governare in deficit se non ci siano mutualizzazione del debito con gli eurobond e politiche espansive come ce le chiedono anche i mercati e gli americani, lo prenda anche a pedate se si rintana in scelte minori, ma non molli il significato e il valore di un patto per l’Italia che esige lealtà e perseveranza politica sopra tutto da parte sua.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.