Barack Obama al termine del suo intervento al vertice Apec di Pechino (foto AP)

Quanto costa salvare il pianeta

Come spesso capita negli accordi “storici”, il titolo è più emozionante della trama. Barack Obama e il presidente cinese Xi Jinping hanno chiuso un vertice con un’intesa per ridurre le emissioni nocive, inveramento di una campagna di persuasione diplomatica che gli Stati Uniti portano avanti sottotraccia da nove mesi.

New York. Come spesso capita negli accordi “storici”, il titolo è più emozionante della trama. Barack Obama e il presidente cinese Xi Jinping hanno chiuso un vertice con un’intesa per ridurre le emissioni nocive, inveramento di una campagna di persuasione diplomatica che gli Stati Uniti portano avanti sottotraccia da nove mesi. Dopo le resistenze cinesi alle riforme ambientali che hanno ridotto gli sbandierati progressi occidentali in materia a piccoli gesti dimostrativi corredati da summit globali e conferenze onusiane, la Cina imbocca la strada responsabile della riduzione dei gas serra, entrando ufficialmente nel salotto delle nazioni seriamente impegnate nella salvezza del pianeta. Xi ha impartito la benedizione finale: “Quando Cina e America lavorano insieme, possono diventare un’ancora per rendere il mondo più stabile e un propulsore di pace”. La sostanza dell’accordo restituisce una versione appena più prosaica. Pechino si impegna a ridurre le emissioni di anidride carbonica a partire dal 2030 – “e forse anche prima”, dicono i diplomatici americani, senza meglio specificare – e per quella data avrà aumentato la produzione di energie rinnovabili del 20 per cento. Mitch McConnell, prossimo leader repubblicano del Senato, sintetizza brutalmente: “Chiediamo ai cinesi di non fare assolutamente nulla per i prossimi sedici anni”. Si tratta del primo, timido passo di un nuovo corso, non di una rivoluzione istantanea, ma Obama è molto ansioso di aggiungere voci nella colonna delle cose fatte, dunque non lesina sul vocabolario trionfante e dà mandato agli spin doctor di vendere l’intesa come il suggello di una più generale svolta nelle relazioni fra le potenze che governano il globo. L’anatra zoppa ha bisogno di elementi simbolici per garantirsi una legacy congrua, e piegare la resistenza cinese sul tema dell’ambiente riscalda i cuori anche dei liberal più disillusi. In più, il mese prossimo inizieranno i negoziati sul taglio delle emissioni a livello globale in vista della conferenza di Parigi del prossimo anno: Obama può presentarsi come l’uomo che ha convinto perfino i cinesi a fare qualcosa per l’ambiente.

 

Salvare il pianeta, però, ha un prezzo. L’accordo sulle emissioni s’accompagna a una ridefinizione dei rapporti militari nelle aree contese che Pechino rivendica a sé, e nel “nuovo modello” delle relazioni – così l’ha chiamato Xi – le potenze dovranno notificare in anticipo le esercitazioni militari e stabiliranno nuove regole per evitare che gli incontri marittimi e aerei nell’area pacifica si trasformino in occasioni di tensione. La Cina si è a lungo lamentata della logica del contenimento esercitata di fatto dagli Stati Uniti nell’area, e Washington rispondeva rifiutandosi di modificare la sua posizione sulla definizione delle acque territorali cinesi. Per il governo americano le acque in cui Pechino combatte le dispute sulle isole con Giappone e Filippine sono internazionali. Quella aperta da Obama e Xi è una terza via che ha come obiettivi il mantenimento della pace e la riduzione al minimo delle sorprese nella regione. In sostanza, Obama e Xi stanno costruendo una cornice legale più solida attorno allo status quo militare. In questo senso, l’intesa non minaccia – e anzi implicitamente incoraggia – il percorso di formazione di una versione cinese della dottrina Monroe, fenomeno che molti esperti di relazioni internazionali hanno osservato da tempo.

 

[**Video_box_2**]John Mearsheimer, politologo dell’Università di Chicago, dice che “se la Cina continua a crescere economicamente cercherà di dominare l’Asia proprio come l’America domina l’emisfero occidentale”, obiettivo non esattamente in linea con la politica degli Stati Uniti, ma che può anche diventare oggetto di un graduale e accorto negoziato. Dipende dalla natura della contropartita. Per l’Obama in crisi di consensi, messo in minoranza al Congresso e con la testa già al tramonto della presidenza, uno “storico” accordo climatico val bene qualche garanzia militare.

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