Mariano Rajoy e David Cameron (foto AP)

Crescita e consenso

“It's the economy, stupid”. Ma vale ancora? Casi bizzarri in Europa

Paola Peduzzi

Il paradigma clintoniano subisce qualche colpo tra il Regno Unito alle prese con l’Ukip e la Spagna della corruzione. I collaboratori di Cameron dicono che l’immigrazione è diventata la “number one issue”

Parlando ad alcuni deputati conservatori inglesi la settimana scorsa, al Crowne Plaza appena fuori Chipping Norton, nell’Oxfordshire, Jim Messina ha detto: “Ogni giorno in cui non si fa campagna sull’economia è un giorno buttato via”. Messina è stato il guru elettorale di Barack Obama, ora presta i suoi servizi ai Tory di David Cameron in vista del voto del maggio prossimo, e ribadisce il famoso motto coniato da James Carville per il presidente americano Bill Clinton: “It’s the economy, stupid”. Ma vale ancora?

 

Alle elezioni di midterm, negli Stati Uniti, il Partito democratico di Obama non è riuscito a contenere l’assalto dei repubblicani, il presidente non se la passa bene, pure se governa l’economia che più ha ricominciato a funzionare dopo lo choc del 2008. Si vota guardando al portafogli, si pensa che i popoli in guerra, poveretti e lontanissimi, sono messi molto male, ma non possiamo pensare a tutto noi, i soldi non ci sono – e poi scopriamo che non è più l’economia, stupido? Pare strano, certo, ma in Europa la relazione tra crescita e consenso risulta persino più complicata, e bizzarra. Prendiamo i conservatori inglesi. Guidano un governo (assieme ai liberaldemocratici, formalmente, ma tanto fanno come se non ci fossero) che ha traghettato il Regno Unito da una “double dip”, forse “triple”, recessione a una crescita che s’aggira attorno al tre per cento, hanno fatto rimangiare al Fondo monetario internazionale tutti i suoi allarmismi e le sue congetture pessimistiche, hanno un cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, che se l’è vista brutta durante gli anni dei tagli lacrime-e-sangue e oggi sfodera la boria trionfalistica degli scampati quando sciorina numeri e progetti che parlano di crescita e di benessere. Hanno per di più un partito d’opposizione, quello laburista, che non si sta rivelando all’altezza del compito: è ancora avanti nei sondaggi, ma di poco, e soprattutto non pare aver trovato finora una storia da raccontare agli elettori inglesi che possa sconfiggere quella, di successo, del governo.

 

[**Video_box_2**] Eppure da settimane non si fa che parlare dei guai del premier, David Cameron. Guai che riguardano l’immigrazione e i rapporti con l’Europa, cioè quei temi che in un mondo in cui “it’s the economy, stupid” dovrebbero scivolare giù, nella lista delle priorità, e che invece sono tenuti su dalla presenza dell’Ukip, il partito indipendentista di Nigel Farage, che fissa l’agenda agitando lo spauracchio della sua avanzata. E’ folle ridursi a litigare con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, sulle quote all’immigrazione, con la regina d’Europa che dice che certi temi “non sono negoziabili” e che il Regno Unito se ne può pure uscire dall’Unione europea se davvero vuole insistere sulla faccenda delle quote. I collaboratori di Cameron dicono che l’immigrazione è diventata la “number one issue” (non è l’economia, allora?) assieme alla sorella antipatica, che è l’Europa, i Tory si spaccano e si scannano, e George Parker scrive sul Financial Times che Messina “dovrà guadagnarsi il suo stipendio” se vuole davvero riportare il focus della campagna elettorale sull’economia. Lì si può vincere, con i numeri dei migranti o i soldi da dare o non dare alla sanguisuga di Bruxelles, chissà.

 

La popolarità minima - In Spagna la relazione tra crescita e consenso è ancora più bizzarra. Mariano Rajoy è un premier che s’è dimenticato cosa sia la leadership (forse non lo ha mai saputo), ma tra le imposizioni europee e le necessità interne è riuscito a portare il paese sul terreno della crescita. Con ancora grandi perplessità, sia inteso: il pil cresce, ma la disoccupazione è ferma, i salari sono bloccati e i grillini di Podemos stravolgono i sondaggi. Come abbiamo già visto in altri contesti, soprattutto nella brillante America, la “ripartenza” offre numeri con il più davanti ma gli effetti, nell’economia reale, si sentono dopo un po’. Il percorso però, in Spagna, è impostato, eppure Rajoy ha la stessa popolarità di François Hollande in Francia, dove l’economia va malissimo (al punto che Bruxelles non crede alle previsioni elaborate da Parigi). Pesano, sul premier spagnolo, gli scandali, tanti e frequenti: scandali finanziari, corruzione, appalti truccati, quanto basta per trascinare il Partito popolare nei bassifondi del consenso. Ma se il portafogli torna a essere un po’ pieno, non dovrebbe compensare gli altri disastri, almeno in parte? Ci si guarda intorno storditi, senza neppure più sapere chi è lo stupido.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi