Il premier inglese David Cameron (foto Ap)

Così Cameron sgancia una “bomba nucleare” sull'Europa

Redazione

Il primo reattore autorizzato in Unione europea dopo lo choc di Fukushima sorgerà a Hinkley Point, con placet di Bruxelles. Il pragmatismo britannico supera la paralisi dei tedeschi. Consensi e critiche dai paesi membri: si fa pesare a Londra che l’atomo avrà un aiutino dallo stato.

Roma. Volevate salvare il clima? E adesso beccatevi il nucleare. Il pragmatismo britannico è riuscito a incassare una benedizione destinata a cambiare – e non poco – il panorama delle politiche energetiche europee. La Commissione europea ha infatti accettato, seppure con modifiche non triviali, lo schema presentato dal governo inglese per la realizzazione di una nuova centrale atomica presso lo storico sito di Hinkley Point, nel Somerset, sud-ovest dell’Inghilterra, che già ospita due impianti (un vecchio reattore Magnox, ora chiuso, e un più recente reattore avanzato raffreddato a gas dalla potenza nominale di 1.250 megawatt, operativo dal 1976). Adesso dovrebbe aggiungersi un terzo impianto della potenza nominale di 3.200 megawatt.

 

Si tratta di un progetto che fa discutere per le sue enormi implicazioni energetiche e ambientali, ma anche perché, ancora prima che la realizzazione sia avviata, già entra a pieno titolo nel libro dei record. Non solo, infatti, è una delle pochissime iniziative avviate dopo la brusca frenata del nucleare europeo subita all’indomani dell’incidente di Chernobyl (1986), ma è in assoluto la prima soprattutto dopo il disastro di Fukushima (2011), che spinse diversi stati membri dell’Unione europea – in particolare la Germania – a decidere l’abbandono dell’atomo. La centrale di Hinkley Point C sarà realizzata da un consorzio guidato con il 40-45 per cento dalla francese Edf (che sarà anche operatore dell’impianto) con l’apporto, tra gli altri, di Areva (10 per cento, e titolare della tecnologia) e dei cinesi della China General Nuclear Corporation e della China National Nuclear Corporation (che congiuntamente dovrebbero detenere una quota tra il 30 e il 40 per cento). La tecnologia adottata sarà quella del reattore ad acqua pressurizzata (Epr) che per qualche tempo aveva fatto sospirare anche i nuclearisti italiani.

 

Il progetto si distingue pure per le modalità della sua realizzazione e del suo finanziamento, che in buona parte bypassano i consueti meccanismi del mercato – un’altra singolarità se si tiene conto che la Gran Bretagna, a dispetto della svolta parzialmente “dirigista” impressa dall’Energy Bill approvato in via definitiva nel 2013, resta uno dei paesi più orientati al mercato. In pratica, il consorzio, oltre a godere di garanzie governative sui prestiti o linee di credito a tasso agevolato, avrà soprattutto diritto a uno “strike price” (cioè una sorta di prezzo minimo garantito) sull’energia prodotta pari a 92,50 sterline/MWh (117 euro/MWh), più che doppio rispetto agli attuali prezzi all’ingrosso dell’elettricità sulla Borsa inglese. Tale beneficio avrà durata di 35 anni, a fronte di una vita attesa della centrale di 60 anni. Su richiesta della Commissione europea, il complesso accordo conterrà una serie di clausole volta a tutelare i consumatori: qualora i tassi di ritorno sul capitale investito superassero una certa soglia, o i costi di costruzione si assestassero al di sotto del previsto, il consorzio dovrebbe “restituire” l’extraprofitto attraverso un adeguamento del prezzo di riferimento. Poca roba, comunque, rispetto alle dimensioni dell’operazione, anche perché l’opzione appare più teorica che concreta: l’Epr è attualmente impiegato in tre centrali in via di realizzazione (Olkiluoto 3 in Finlandia, Flamanville in Francia e Taishan in Cina), e tutte hanno visto un pesante incremento di tempi e costi. Va detto che si tratta di una tecnologia nuova: sarà interessante vedere se l’esperienza maturata negli altri paesi sarà messa a frutto in Gran Bretagna per rispettare la tabella di marcia messa in preventivo.

 

La lezione inglese riguarda anche il modo in cui il premier David Cameron, pensa di disinnescare la sindrome Nimby (Not in my back yard, non nel mio giardino): piuttosto che inaugurare un sito nucleare del tutto nuovo ha scelto di piazzare i reattori di fianco ad altri già operativi, così da incidere su un territorio meno ostile.

 

[**Video_box_2**]L’approvazione di Hinkley Point C ha rilevanti conseguenze, sotto diverse dimensioni. Anzitutto, ovviamente, quella ambientale: l’operazione non risponde solo all’esigenza di garantire un rinnovamento al parco di generazione inglese, caratterizzato da un’età media degli impianti piuttosto elevata. Risponde soprattutto alla strategia di decarbonizzazione che è uno dei pilastri della politica energetica di Cameron, conservatore sì ma molto attento all’ambiente. Cameron non ha lesinato supporto alle fonti rinnovabili, in particolare l’eolico, ma con la scommessa sullo shale gas, il gas estratto attraverso la frantumazione delle rocce profonde, e sul nucleare si qualifica come “altro” rispetto ai canoni tradizionali dell’ecologismo “di sinistra”: se la sfida è quella del clima, non bisogna precludersi la strada di una fonte priva di emissioni quale è l’atomo. Una seconda dimensione è il modo in cui viene declinata la necessità di garantire al paese la sicurezza energetica: con uno “strike price” di 92,50 sterline il nucleare britannico non appare particolarmente conveniente, rispetto alle fonti verdi, dal punto di vista economico, ma ha dalla sua una potenzialità produttiva enorme. A differenza del vento e del sole, il nucleare non è una tecnologia capricciosa che va e viene secondo i ghiribizzi della natura: all’opposto, un reattore produce ininterrottamente tutte le ore dell’anno, fornendo copertura alla domanda cosiddetta “di base” a un costo stabile e prevedibile nel tempo.

 

Ci sono altri aspetti che riguardano il rapporto tra l’autonomia dei singoli stati e gli orientamenti brussellesi. Cameron fa proseliti: Repubblica Ceca, Slovacchia e Finlandia si allineerebbero. Altri invece sono ostili: l’Austria chiederà alla Corte di giustizia di Strasburgo di annullare la decisione, dice il Wall Street Journal. Risale poi a pochi mesi fa l’emanazione di linee guida in merito agli aiuti di stato in materia di energia, che si distinguono per un approccio estremamente rigoroso sul tema della neutralità tecnologica e delle procedure di assegnazione competitiva dei sussidi. Il via libera al piano britannico contraddice ogni aspettativa di applicazione pedissequa: ci troviamo davanti a una scommessa precisa volta a coniugare obiettivi ambientali, sicurezza energetica e politica industriale. Solo il tempo ci dirà se si tratta di una scommessa vinta, ma è già chiaro che le conseguenze saranno enormi. Per il Regno Unito e per l’Europa.

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