Un F22 Raptor statunitense effettua un rifornimento in volo durante una missione in Iraq (foto AP)

Che cosa non va nei raid americani in Siria

Daniele Raineri

In Siria il sistema di riscaldamento più povero e comune è la stufa a diesel e brucia un filo denso di carburante che gocciola ipnoticamente nel suo ventre. Procurarsi il diesel però ora è più difficile da quando gli aerei della coalizione a guida americana hanno bombardato le dieci piccole raffinerie gestite dallo Stato islamico nella parte orientale del paese.

Roma. In Siria il sistema di riscaldamento più povero e comune è la stufa a diesel e brucia un filo denso di carburante che gocciola ipnoticamente nel suo ventre – basta modificare la portata dello sgocciolio per avere più o meno calore. Procurarsi il diesel però ora è più difficile da quando gli aerei della coalizione a guida americana hanno bombardato le dieci piccole raffinerie gestite dallo Stato islamico nella parte orientale del paese. Il Pentagono dice correttamente che quei siti portavano nelle casse del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi milioni di dollari di ricavi ogni settimana e andavano distrutti almeno parzialmente, ma per quel fenomeno disastroso di eterogenesi dei fini che in Siria devia ogni buona intenzione adesso tutto il paese affronta una penuria insostenibile di carburante. Anche la parte fuori dal controllo dello Stato islamico, che è la più estesa e di molto; in alcune zone il prezzo è raddoppiato e l’inverno sta arrivando. Per molti commentatori il giudizio su questa guerra aerea vicino e dentro il paese di Bashar el Assad è finora negativo.

 

La campagna contro lo Stato islamico in Siria compie due settimane e quella in Iraq due mesi – i bombardamenti americani sono cominciati l’8 agosto, quando le operazioni avevano una giustificazione diversa, soltanto difensiva. Il Los Angeles Times sostiene che entrambe sono ancora troppo deboli e ricorda che nel 2001 le operazioni dell’aviazione contro i talebani in Afghanistan durarono 76 giorni e furono lanciate 17.500 bombe. Secondo i dati della Difesa americana aggiornati al 1° ottobre, gli aerei hanno fatto cadere 800 bombe su Iraq e Siria. Il Times chiede l’intervento di forze speciali americane a terra perché “questa guerra è troppo aerea”. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è su una linea simile e ieri ha detto: “Gli aerei non bastano, in Siria serve un intervento con le truppe a terra”. E’ una dichiarazione ufficiale che potrebbe preludere a conseguenze importanti nelle prossime settimane (un intervento di terra a questo punto è proprio quello che anche lo Stato islamico vuole, per ricominciare la guerriglia come negli anni prima del 2011).

 

Il Wall Street Journal scrive che gli uomini del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi si sono adattati in fretta alle nuove condizioni, si spostano di notte, in piccoli gruppi, non usano più radio e telefoni per non tradire la propria posizione e riescono a evitare i bombardamenti. L’intelligence americana sarebbe in affanno per trovare bersagli da comunicare ai piloti, e questa difficoltà è tradita dal numero delle missioni a vuoto degli aerei americani, sempre fornito dalla Difesa: 1.700 voli effettuati per colpire 322 obiettivi. Inoltre molti bersagli ovvi erano ormai stati evacuati da tempo. “La maggior parte dei campi d’addestramento e delle basi era già vuota quando è stata colpita dalle bombe”, dice Mohammed Hassan, un attivista che si trova nell’est della Siria, una delle aree con la più alta concentrazione di obiettivi.

 

Associated Press scrive che proprio per la lacune nelle informazioni dell’intelligence il Pentagono non sta più rispettando la politica della “quasi certezza di non fare vittime civili” – annunciata dal presidente Barack Obama nel 2013. Quello standard va bene per le missioni sporadiche e su scala ridotta con i droni in Yemen e Somalia, ma la Difesa sostiene che in Siria e in Iraq “è una missione di guerra”, non più di controterrorismo, e che non c’è la possibilità di verificare che i bombardamenti non abbiano fatto vittime civili. “E’ molto diversa per gli scopi e per la complessità – dice Adam Schiff, che fa parte della commissione Intelligence del Senato – penso che sarebbe davvero difficile applicare quelle regole molto restrittive usate in altri teatri d’operazione”.

 

[**Video_box_2**]Come l’enclave curda di Kobane, arida ed esposta in teoria agli attacchi aerei, anche Anbar, il più grande governatorato dell’Iraq, sta per cadere quasi del tutto sotto il controllo dello Stato islamico, e gli aerei non cambiano il corso della cose.

 

Gli almeno dodici raid americani nelle aree siriane fuori dal controllo di al Baghdadi hanno ancora obiettivi vaghi: in teoria c’è il cosiddetto Gruppo Khorasan, secondo la Casa Bianca, formato da una ventina di veterani di al Qaida arrivati dall’Afghanistan. In pratica finora sono morti soprattutto volontari occidentali del jihad, inglesi e olandesi, e si dà la caccia a un disertore dell’intelligence francese.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)