Fave di cacao (foto LaPresse)

Così l'ebola minaccia l'economia africana (e il cacao)

Maurizio Stefanini

L'epidemia potrebbe mettere in ginocchio Sierra Leone, Costa d'Avorio e Liberia, ovvero tre tra i paesi che negli ultimi anni hanno maggiormente accresciuto il loro pil. E le conseguenze si potrebbero estendere anche in Asia e Europa.

Anche i rifornimenti mondiali di cioccolato potrebbero essere a rischio per colpa dell’epidemia di Ebola. La diffusione della malattia infatti sta rallentando alcuni dei paesi che hanno registrato negli ultimi anni i tassi di crescita più alti al mondo.  La Costa d’Avorio è uno di questi. Nel 2012 l’economia dell’ex colonia francese aveva segnato un + 9,8 per cento del pil - quinto posto mondiale per miglioramento del prodotto interno lordo – risultato che aveva mantenuto pressoché costante anche nel 2013 (+ 8 per cento). Dopo la guerra civile combattuta dal 2002 al 2007 e poi di nuovo dal 2010 al 2011, il rilancio era stato determinato al ruolo di primo produttore mondiale di cacao, oltre che all’export di caffè, legname tropicale e ananas, e a una produzione significativa di gas, petrolio e energia idroelettrica.

 

Stessa sorte era toccata alla Liberia. Dopo le guerre civili che avevano affamato il paese tra il 1989 e il 1996 e il 1999 e il 2003, lo stato dell’Africa occidentale aveva registrato una crescita impensabile sino a pochi anni prima: + 8,10 per cento del pil, grazie soprattutto a un incremento delle esportazioni di cacao, oltre a ferro, diamanti, legname, e caffè, materie prime dirette verso i porti del Libano per poi continuare il loro viaggio verso India e Indonesia.

 

Lo scettro di paese con il più alto tasso di crescita nel 2012 spettava però a un altro paese africano, anche se qui il cacao non conta. Il prodotto interno lordo della Sierra Leone aveva segnato un più 18,2 per cento, dato confermato anche nell’anno successivo col 17,7, ma questa volta superata da Sud Sudan e Libia, paesi però che fondano la loro economia sull’esportazione di petrolio e che stavano attraversando una fase di ricostruzione dopo una guerra. Anche la Sierra Leone, peraltro, era uscita dalla feroce guerra civile dei bambini soldato e dei diamanti di sangue che aveva imperversato tra 1991 e 2002, e a sua volta sperava di diventare una potenza petrolifera. Ma il boom economico del paese africano non è stato però determinato da petrolio o dai diamanti, ma da altro: oro, bauxite e soprattutto rutilio, un biossido di titanio usato per vernici e pellicole speciali, sfruttato da un consorzio di investitori statunitensi e europei e poi venduti soprattutto alla Cina.

 

Tra i paesi più colpiti dall’epidemia di ebola ve n’è anche un altro che negli scorsi anni ha registrato un significativo miglioramento economico, nonostante una guerra civile che divampa in parte del paese a causa dell’avanzata di gruppi jihadisti come, come Boko Haram, e indipendentisti, come il Mend. La Nigeria viaggiava al +6,2 per cento e aveva ormai superato il Sudafrica come prima economia africana, anche grazie a un cambiamento del sistema di calcolo del pil (che non veniva aggiornato da oltre 20 anni), che aveva iniziato ad includere settori prima non presi in considerazione; ciò aveva permesso un balzo da 364 miliardi di dollari a 510 in un anno.

 

L’effervescenza nigeriana è dimostrata anche dall’ascesa dei miliardari locali nelle classifiche del settore. È ad esempio il nigeriano Aliko Dangote oggi il più ricco dell’Africa, e anche il nero più ricco del mondo con un patrimonio di 20,2 miliardi di dollari. Iniziò da self-made man grazie al prestito di uno zio ricco che gli permise di comprare tre camion di cemento all’epoca in cui in Nigeria era una rarità. Ma oltre a Dangote c’è altro. C’è il sudafricano Allan Gray, 8,5 miliardi con due finanziarie e una laurea ad Harvard, l’altro nigeriano Mike Adenuga, 8 miliardi, che dalla vendita di Coca Cola è passato a petrolio e telecomunicazioni, con un decisiva spinta da parte del presidente della Nigeria. Lo stesso presidente per la cui moglie faceva vestiti Folorunsho Alakija, stilista formata a Londra ora divenuta una magnate petrolifera e la donna più ricca dell’Africa, con 7,3 miliardi di patrimonio.

 

Ma proprio in questo pezzo d’Africa economicamente in grandissima ripresa, l’epidemia di Ebola sta avendo un impatto che secondo la Banca Mondiale potrebbe arrivare a 809 milioni di dollari per i soli tre Paesi più colpiti, e che rischia di azzerare anni di progressi. Nel peggiore degli scenari affloscerebbe il pil dell'8,9 per cento in Sierra Leone e dell’11,7 per cento in Liberia. Nella speranza che la Costa d’Avorio non sia investita e in Nigeria l’impatto resti limitato. 

 

“L’economia si è contratta del 30 per cento a causa dell’Ebola”, ha ammesso con la Bbc il ministro dell’Agricoltura della Sierra Leone Joseph Sam Sesay. E l’impatto potrebbe non essere solo locale. ArcelorMittal, il primo conglomerate siderurgico del mondo, ha ad esempio dovuto fermare l’espansione del suo progetto minerario nel giacimento di ferro liberiano di Yekepa. E anche Vale, la più importante estrattrice mondiale di ferro, ha avuto gravi problemi nel giacimento guineano di Simandou, dove anche l’altro colosso Rio Tinto ha avuto contraccolpi tali da decidere di donare 100 mila dollari per gli interventi nell’area dell’Oms. Già a agosto è stato dunque lanciato un allarme per l’approvvigionamento mondiale di ferro, che potrebbe ripercuotersi in particolare sulla Cina.

 

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