Matteo Renzi (foto LaPresse)

Più che un patto: una riforma

Redazione

Le condizioni per cambiare la Giustizia e salvarla da caste e chiacchiere. Mentre molti osservatori, e non solo quelli malevoli, si concentrano sulla questione degli scambi di reciproci appoggi sembra finire sullo sfondo il tema principale.

Mentre molti osservatori, e non solo quelli malevoli, si concentrano sulla questione degli scambi di reciproci appoggi (peraltro indispensabili per l’elezione dei membri della Consulta e del Csm, vista la maggioranza richiesta), sembra finire sullo sfondo il tema principale: quello di un accordo sulla Giustizia che dopo decenni di scontri riunisca le principali espressioni politiche italiane in un progetto riformatore coerente. Le condizioni oggettive per questa storica intesa ci sono. L’esigenza di riformare la Giustizia è ormai evidente a tutti, viene indicata dagli osservatori e dalle autorità internazionali come una delle principali condizioni per uscire dalla stagnazione, mentre l’esasperato protagonismo di alcune procure politicizzate crea difficoltà internazionali alle grandi aziende, come è stato per Finmeccanica e come si profila ora per l’Eni, e interferisce in modo sempre più soffocante sulle vicende politiche, come dimostra l’inchiesta emiliana sulle “spese pazze” di poche migliaia di euro.

 

L’alternativa a una intesa tra le forze politiche era un accordo tra il governo e la magistratura su un percorso riformatore minimo condiviso, ma questa strada risulta impraticabile quando la magistratura associata considera persino una modesta equiparazione agli altri dipendenti pubblici del periodo feriale come una prova di un atteggiamento punitivo contro il quale si chiama alla mobilitazione. Anche il contenuto della riforma risulta abbastanza ovvio e, se lo si può dire senza sollevare scandalo, è quasi irrilevante quale soluzione si adotterà sulle singole questioni particolari, visto che quello che è in gioco è il diritto della rappresentanza elettiva di legiferare in materia di Giustizia anche senza il consenso preventivo della corporazione. Non si tratta di una lesione del principio di separazione del poteri, ma dell’esercizio effettivo del potere legislativo da parte di chi ne ha la potestà costituzionale.

 

[**Video_box_2**]Se le condizioni oggettive per l’accordo reggono, resta da verificare se si creano le condizioni soggettive. Chi come i propagandisti del giustizialismo punta tutto sulla denuncia del presunto patto personale tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi patisce una grave inversione ottica. Renzi in particolare cerca di evitare un’intesa esplicita, solo pochi giorni fa aveva dichiarato che la Giustizia non fa parte del sistema di riforme istituzionali su cui si cerca un ampliamento della maggioranza. Berlusconi, per parte sua, fatica a convincere il suo partito dello straordinario valore politico (anche se non necessariamente portatore di dividendi  elettorali) di una riforma dell’ordine giudiziario. L’occasione eccezionale per un’intesa storica sulla Giustizia non può essere lasciata cadere per qualche interesse di bottega. E tantomeno per l’opposizione pavloviana dei soliti circoli mediatico-giudiziari.